La Spagna ha da ieri sera un nuovo governo. Mariano Rajoy, come previsto, guida un esecutivo formato da Partito popolare (Pp) e Ciudadanos con l’astensione decisiva dei socialisti (Psoe). È un esecutivo di centrodestra bis con lo stesso premier uscente della scorsa legislatura. Dieci mesi senza governo, due elezioni in dodici mesi con più o meno un pari e patta tra Pp più Ciudadanos da una parte e sinistra dall’altra (Unidos Podemos, Psoe), hanno piegato la resistenza socialista che aveva come alternative o l’alleanza con Podemos e liste nazionaliste o nuove elezioni (le terze in un anno). I socialisti, nel negoziato sulla loro sofferta astensione, non sono riusciti a ottenere che fosse un altro esponente del Pp, meno compromesso a destra di Rajoy, a guidare il governo.

Il thriller della crisi politica spagnola non è ancora concluso. Pedro Sánchez, dimessosi da segretario perché contro l’astensione, ieri la lasciato pure il suo scranno da deputato «per non votare contro se stesso», annunciando che darà battaglia per «rifondare il partito a sinistra». Tutti i riflettori erano del resto puntati sul Psoe che ha reso possibile questo esito. Nel corso del voto sono stati 15 – come previsto – i parlamentari socialisti che non hanno rispettato la decisione presa a maggioranza dal Comitato federale del Psoe. Javier Fernández, reggente del partito e governatore delle Asturie, aveva detto di augurarsi di non dover prendere provvedimenti disciplinari nei confronti dei probabili dissidenti.

La minaccia – neanche tanto velata – era quella della radiazione dal gruppo parlamentare con l’automatico passaggio al gruppo misto. Ora vedremo se ci saranno o meno provvedimenti disciplinari. Tra i non astenuti ci sono i 7 deputati del Psc, importantissima federazione della Catalunya, convinti che l’astensione indebolisca la posizione socialista che a Barcellona vuole evitare rotture con il resto della Spagna all’insegna della secessione pur sostenendo una riformulazione del patto tra Stato centrale e autonomie regionali. La prima frattura nel Psoe si era verificata la settimana scorsa nella storica sede di via Ferraz a Madrid, quando nel parlamentino del partito in 139 avevano votato a favore dell’opzione dell’astensione a Rajoy e in 96 si erano pronunciati contro.

Tra i contrari, oltre ai catalani, dirigenti di rilievo come Patxi López, leader dei socialisti dei Paesi baschi e governatore di quella regione, il deputato europeo dal forte prestigio Josep Borrell, José Luís Ábalos, segretario di Valencia, e molti dirigenti locali: dalle Baleari all’Extremadura, dalla Galizia a Madrid.

Sulla scelta dell’astensione socialista hanno influito le posizioni del leader storico Felipe González, della confederazione degli industriali, della grande stampa, come El País e El Mundo, oltre al blocco dei socialisti andalusi – la federazione più numerosa e potente – capeggiati da Susana Díaz, candidata in pectore alla segreteria del Psoe nel congresso che si terrà nel 2017 e strenua sostenitrice della «governabilità nell’interesse nazionale della Spagna». Il refrain della governabilità a ogni costo è diventato così assordante da piegare tutte le buone ragioni di una difficile unità a sinistra. La maggioranza del Psoe ha ritenuto Podemos un alleato non affidabile, Podemos ha pensato in definitiva lo stesso del Psoe.

A impedire un avvicinamento unitario hanno provveduto pure i dissensi politici accompagnati dall’aperta competizione tra queste due forze, dal momento che la posta in palio è chi diventerà il principale partito della sinistra, con sondaggi attualmente favorevoli a Podemos, avvantaggiatosi dalla collocazione astensionista e di appoggio al governo di centrodestra assunta dai socialisti. Rajoy ha nel frattempo addolcito i toni del suo liberismo tradizionale nel discorso programmatico alle Cortes, dicendo di voler governare per una intera legislatura in alleanza con Ciudadanos e in dialogo con i socialisti per attuare riforme costituzionali (un più netto federalismo) ed economiche. Il Psoe lo ha avvertito che l’astensione è solo un gesto di responsabilità per evitare nuove elezioni. La frittata però è fatta, con conseguenze imprevedibili sul futuro del Psoe e della legislatura che si apre.