Un sorriso venuto male. Così Tim Curry aveva genialmente descritto la sua lettura di Pennywise in occasione dell’adattamento di uno dei più grandi tra i libri di Stephen King. Commissionata dalla ABC, la miniserie tratta da It, era stata, nel 1990, una delle primissime apparizioni di una produzione horror nella fascia di punta della serata tv. Ventisette anni dopo, il sadico/sanguinario pagliaccio kinghiano, torna in un film scritto e diretto dall’argentino Andy Muschietti. Più che alla versione di Tommy Lee Wallace per il suo It Muschietti sembra aver fatto riferimento a uno dei film da King meno venati di soprannaturale, Stand By Me.

 
È quel tono da romanzo di formazione spielberghiano che anima il suo film, ambientato nel tempo sospeso di un’estate in campagna, tra corse in bicicletta, tuffi nell’acqua verde e freddissima di un lago di montagna e languori adolescenziali. Rispetto alla costruzione del libro, fatta di andirivieni temporali, Muschietti adotta una struttura narrativa lineare che prevede un primo film in cui i protagonisti sono bambini e un secondo (già annunciato), in cui sono adulti.

 
L’inizio, sotto un’acqua scrosciante, è cattivo come quello del carpenteriano Distretto 13. Solo che il controcampo di Georgie – minuscolo, con l’impermeabile giallo e la barchetta di carta che gli scappa in un ruscello di pioggia- non è la bocca di una pistola ma il primo piano grottesco di un clown che lo guarda dall’oscurità dello sbocco di scolo di un marciapiede.
Il ventisettenne Bill Skarsgard da al volto di Pennywise, il clown ballerino (e la versione infernale del pagliaccio di McDonald) la mobilità e i tratti esagerati di un disegno di Dr. Seuss che morfa in una bocca dentuta come quella di Alien. Nel giro di un attimo tutto ciò che rimane di Georgie e della sua barchetta è una nuvola di sangue nell’acqua che allaga la via di fronte a casa. Il trauma della sua scomparsa è il punto di partenza della storia e dell’avventura in cui suo fratello Bill (Jeaden Lieberher), balbuziente, coinvolge la gang dei Losers, gli sfigati – uno loquacissimo e occhialuto, uno terrorizzato dei germi, uno afroamericano, uno ebreo e uno grasso che è nuovo della scuola; a cui si aggiunge Bev, con i capelli rossi e che non ha paura di niente se non del papà che la aspetta a casa ed è quasi peggio di Pennywise.

 
I dialoghi buffi tra loro, le avventure, i genitori tremendi, la lotta a sassate contro i bulli della classe sono riuscitissimi e al cuore del film, intrepido e malinconico, come un’estate  – o l’infanzia- che sta per finire.
NIightmare N. 5 dice l’insegna del cinema sulla sonnolente Main Street di Derry. E in effetti, il Pennywise di Muschietti, che secondo King irrompe nel paesino del Maine da una dimensione parallela antica di migliaia di anni, deve molto anche a Freddy Krueger. Con l’aiuto del digitale e dell’amore per il realismo fantastico proprio della letteratura sudamericana, il regista di Mama, e protetto di Guillermo Del Toro, visualizza in modo più esplicito come «il mostro» non sia altro che l’incarnazione delle paure dei bambini. Pennywise con i suoi palloni colorati è solo una delle sue facce. Come King, Del Toro e gli autori dei migliori adattamenti kinghiani (Romero, Carpenter, Cronenberg) anche Muschietti ha un’idea alta, politica, del genere. Gli sfigati, i marginali, i diversi, sono gli eroi. La (loro) unione fa la forza.