Buio in sala, sul maxischermo della sala dei Frentani c’è un’aquila che vola sui monti, musica da grandi eventi. L’aquila è lui, i monti sarebbero la Valle d’Aosta, al cui tribunale la magistratura l’aveva comandato. Torna così sulla scena Antonio Ingroia, oggi finalmente ex magistrato, dopo essersi arreso a un braccio di ferro con il Csm. Immagine un tantino eccessiva, quella dell’aquila che inaugura la prima assemblea di Azione civile. Ma Ingroia stoppa le ironie: «Abbiamo voluto scherzare. Mi volevano sui monti e invece sono ancora qui con voi». «Loro» sono la «politica ostile che espelle le esperienze non omologate e ribelli»; ma anche alcuni colleghi magistrati che lo hanno «emarginato». «Voi» invece sono i sopravvissuti della sconfitta elettorale di Rivoluzione civile e dell’esplosione della lista che affollano la sala, per lo più volti di una sinistra irriducibile ai partiti ma anche al fenomeno Grillo.
Un nome, Azione civile, un programma: tutto giudiziale? Obiezione respinta dagli ingroiani: certo, la vicenda della trattativa stato-mafia è fondativa, e lui, avverte, servirà «la stessa causa per la quale ho indossato la toga». Ma il programma del movimento oggi è «stop alle politiche di rigore», «promuovere l’unità di un largo fronte democratico e popolare, che non si chiuda in un recinto» (e qui la polemica è con i partiti dell’ex Lista Ingroia è evidente); questione morale e ricerca della verità dei misteri e delle stragi; difesa e attuazione della Costituzione e no al presidenzialismo, spiegati in sala con una quasi lezione magistrale del costituzionalista Alessandro Pace che boccia senza appello la legge di riforma del governo Letta.

E qui la proposta è rivolta a tutti i cittadini, ma soprattutto è una sfida al Pd: fondare in tutta Italia i comitati «Viva la Costituzione» per organizzare «le primarie delle idee» (copyright Prc 2008, coté vendoliano, ma l’espressione ha avuto un variegato utilizzo successivo) sul presidenzialismo: «Nessuno approvi le riforme senza una consultazione di massa dei cittadini», dice il ’manifesto’ approvato a fine dibattito. «E se non lo farà il Pd, lo faremo noi». Che si facciano o no le riforme, è certo che un largo fronte antipresidenzialista si va coagulando anche nel Pd – martedì sarà presentato un documento trasversale di 60 parlamentari – e grazie a questo Ingroia potrà riacciuffare il treno del centrosinistra da cui è stato scaricato alle scorse politiche.
Non che questo Pd possa essere, ammesso che lo voglia, un alleato possibile, almeno per ora: «Il governo Letta-Alfano è l’ultima dimostrazione della sordità a quello che i cittadini chiedono». Tanto più che, anche volendo sorvolare sullo scontro con il presidente Napolitano sulla «trattativa», c’è un punto del programma ingroiano indigeribile per tutti i candidati al congresso Pd: la cancellazione del pareggio di bilancio in Costituzione.

Intanto perà Ingroia prova a ripartire con un movimento «apartitico ma non apolitico», con l’intento di confrontarsi nel «campo democratico» (già teorizzato da Bettini, Barca e Civati), così com’è già stato alle comunali di Roma. Per ora senza ambizioni di contarsi. Con qualche tratto di autocritica sugli errori compiuti: mai più ingerenze «di partiti e partitini», mai più «accordi in stanze chiuse: nel comporre la lista Rivoluzione civile non c’era tempo per una discussione ampia, ma è stato un errore». Nel catalogo ci sarebbe anche la questione della separazione dei poteri, che scendendo giù per li rami sconsiglierebbe a un magistrato in carica di fare il leader politico. Glielo ricorda il democratico di centro Bruno Tabacci, antipresidenzialista doc: ma presto sarà acqua passata.

E ancora, fra gli errori fatti, l’Ingroia della lista Ingroia giura: mai più «leaderismi e personalismi». Dal palco lo consola il vignettista Vauro: «Non sei comunicativo, non sei un leader, e noi non abbiamo bisogno di un capo: per questo ci piaci».