Il primo Kentucky Fried Chicken (Kfc) ha aperto i battenti a Tehran mentre il presidente degli Usa, Obama, dopo colloqui con aziende e banche, ha annunciato il via al piano di cancellazione delle sanzioni internazionali contro l’Iran per il suo programma nucleare, in seguito all’accordo raggiunto a Vienna lo scorso luglio.

L’economia iraniana è in fermento, si intensifica il via vai di delegazioni straniere, turisti e nuovi investimenti, mentre il presidente Hassan Rohani sarà in visita in Italia i prossimi 14 e 15 novembre. Non solo, Tehran finalmente è stata invitata al tavolo negoziale per risolvere la grave crisi siriana e ha assunto un ruolo centrale sul terreno dopo i raid russi delle scorse settimane.

Eppure queste aperture senza precedenti in politica estera, hanno effetti ben diversi in politica interna. L’Iran sta attraversando un’ondata di arresti paragonabile solo ai mesi seguenti le proteste studentesche del 1999, all’onda verde del 2009 e alla manifestazione del febbraio 2011 in piazza Azadi. Fatemed Ekhtesari, ostetrica, e Mehdi Mousavi, medico e poeta, sono stati condannati a nove e undici anni di carcere e 99 frustate per «propaganda contro lo stato». Una delle principale colpe dei due sarebbe stata di aver stretto la mano in pubblico a persone del sesso opposto non appartenenti alla loro famiglia. Rischia sei anni e 233 frustrate il documentarista kurdo, Keywan Karimi, per le accuse di blasfemia di cui ci ha parlato in un’intervista al manifesto.

Nonostante le promesse dopo il caso Ghavami, le donne iraniane ancora non possono liberamente entrare allo stadio e nei campetti sportivi.

Nei giorni scorsi è accaduto nel torneo di pallavolo maschile durante il match Iran-Usa. Secondo alcune attiviste iraniane, citate da Human Rights Watch, tre giorni prima della partita è stato impedito a molte donne di acquistare i biglietti. Non solo, il governo iraniano ha proibito all’attrice Sadaf Taherian di continuare a recitare perché ha postato sui social alcune foto senza hejab. Il cittadino iraniano-americano, Siamak Namazi, è stato arrestato al suo rientro in Iran mentre faceva visita ai familiari perché impegnato nel rafforzamento delle relazioni tra Washington e Tehran. Mentre resta in carcere il corrispondente del Washington Post in Iran, Jason Rezaian.

Non è cambiato proprio nulla per le autorità conservatrici iraniane dopo l’intesa di Vienna, da una parte, la Guida suprema Ali Khamenei continua, come al solito, a motteggiare gli Usa, dall’altra, l’Iran ha cancellato la sua partecipazione alla Fiera del libro di Francoforte per l’invito tedesco recapitato a Salman Rushdie, lo scrittore iraniano, condannato a morte con una fatwa del 1989 per i suoi Versi satanici.

Sorte anche peggiore tocca alla stampa. Cinque giornalisti, tra cui Issa Saharkhiz, ex capo Dipartimento stampa del ministero della Cultura, e Ehsan Mazandarani, direttore del quotidiano Farhikhtegan, sono stati arrestati con l’accusa di essere legati a una «rete vicina a governi ostili». Secondo l’agenzia Tasnim, tra gli arrestati ci sarebbero anche i reporter Saman Sarfarzaee e Afarin Chitsaz.

Rischierebbe poi di essere impiccato ad horas, il predicatore sunnita, Shahram Ahmadi, accusato di legami con gruppi salafiti e di omicidio. Il 27 dicembre scorso è stata eseguita la condanna a morte contro suo fratello, Bahman, e prima di loro altri sei sunniti sono stati uccisi. Secondo lo sheykh, la condanna è arrivata esclusivamente perché sunnita. Nella regione a maggioranza arabo-sunnita del Kuzhestan, sono state represse varie manifestazioni anti-regime negli ultimi mesi. Infine, 15 missili, lanciati dai quartieri ovest di Baghdad, hanno ferito e ucciso oltre 26 membri del gruppo di dissidenti iraniani, rifugiati in Iraq, Mujahedeed e-Khalq.