«Ma la destra rinascerà o nella sua nuova vita dovrà reincarnarsi nella felpa padana di Salvini?». Alla vigilia di quella che si potrebbe rivelare come una tappa decisiva nel percorso intrapreso dalla diaspora postfascista, è stato Marcello Veneziani a dare voce al quesito che attraversa da tempo questo ambiente. Tra oggi e domani si riuniranno infatti a Roma i delegati della Fondazione Alleanza Nazionale, l’organismo che gestisce l’eredità politico-culturale, ma soprattutto il patrimonio di quello che fu a lungo il terzo partito del paese. L’appuntamento, a differenza del recente passato, non è però di quelli di routine: se è certo che si parlerà di soldi, è ancora più certo che stavolta si parlerà anche di politica e, in particolare, della possibilità che possa vedere la luce una qualche “cosa nera”.

Dopo l’annuncio da parte di Salvini del battesimo all’inizio di novembre di un movimento unico del centrodestra, stavolta a guida leghista, e l’effimera ri-discesa in campo del Cavaliere, anche tra gli ex An si moltiplicano i segnali di risveglio. Il primo, e il più clamoroso, è il ritorno sulla scena di Gianfranco Fini. Prima dagli studi di Ballarò e quindi dalle pagine di Repubblica, l’ex presidente della Camera ha sparato a zero contro Salvini e Berlusconi, ma anche contro la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni – definita «sempre più mascotte» del numero uno della Lega – annunciando di volersi impegnare in prima persona nella nascita di una nuova formazione di destra che possa rivolgersi a quei milioni di «elettori che hanno perso una casa comune e che non si sentono rappresentati, sono loro gli interlocutori». In questa prospettiva, recuperare almeno in parte l’eredità politica di Alleanza Nazionale, insieme al “tesoretto” rimasto nelle casse del partito, entrambi sostanzialmente congelati, potrebbe rappresentare un concreto punto di partenza.

A segnalare che, a differenza del recente passato, Fini non parla però più soltanto per se stesso, c’è la comparsa di un appello, ribattezzato «Mozione dei quarantenni» perché redatto da un gruppo di giovani eletti cresciuti in An e oggi approdati chi in Forza Italia chi nel partito di Meloni, che indica nell’assemblea romana il primo passo per «dar vita a un grande processo di riaggregazione della Destra italiana, partendo dal punto di riferimento rappresentato dalla Fondazione An». Il riferimento a un nuovo partito è sfumato, anche se si parla esplicitamente della «volontà di svolgere un ruolo di indirizzo nello scenario politico italiano».

Abbastanza per dar fuoco alle polveri nel mondo degli ex nazionalalleati. Al punto che l’assemblea romana ha già assunto i contorni di una sorta di congresso postumo di An.

Alla vigilia, gli schieramenti vedono da una parte l’area che ha dato vita a Fratelli d’Italia, guidata da La Russa e Meloni – che concludendo nei giorni scorsi la festa di Atreju ha più o meno sentenziato «l’erede di An sono me» -, decisi a non mollare un centimetro sul terreno della possibile nascita di nuova formazione politica, rivale. Alleata di fatto di questi ultimi, c’è la pattuglia degli ex colonnelli finiani, su tutti Gasparri e Matteoli, confluita in Forza Italia, che considerano la Fondazione poco più di un ente patrimoniale. Dall’altra parte, gli ultimi finiani rimasti, numerosi battitori liberi e i fedelissimi di Gianni Alemanno, lui stesso da tempo in rotta di collisione con Fratelli d’Italia, anche a causa dell’abbraccio troppo stretto tra Meloni e Salvini. A detta del Tempo che ha sondato i delegati alla vigilia dell’incontro, i due campi si equivarrebbero quanto a numeri: se sarà fiamma o fuocherello lo si saprà perciò solo alla fine del weekend.