Solo due settimane fa l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) aveva annunciato ufficialmente la fine dell’epidemia di Ebola scoppiata ad aprile nella regione occidentale della Repubblica Democratica del Congo (Rdc).

Il focolaio aveva provocato 33 morti su 54 casi ed era stato arginato piuttosto rapidamente grazie anche a un vaccino sperimentale che sembrerebbe efficace. Ma non c’è stato il tempo di festeggiare, perché il virus è già tornato. Stavolta il focolaio è localizzato nei dintorni di Beni (Nord del Kivu), al confine orientale della Rdc.

Il 2 agosto l’Oms ha confermato che si tratta di Ebola e che le vittime sono già 20. Secondo le prime analisi, si tratta del ceppo del virus denominato «Zaire», lo stesso dell’epidemia appena conclusa e contro cui fortunatamente il vaccino si è dimostrato efficace.

Il nuovo contagio sarebbe partito da una donna morta a fine luglio e sepolta senza le dovute precauzioni. Nei prossimi giorni, il vaccino sarà somministrato a tutte le persone entrate in contatto con i malati, anche indirettamente. Nonostante il vaccino, però, fermare la nuova epidemia sarà più difficile.

Innanzitutto, un eventuale collegamento tra i due focolai farebbe emergere qualche falla nella rete di monitoraggio dei malati. Inoltre, come molte ong hanno segnalato sin dall’epidemia catastrofica del 2013-2016 (oltre 11mila morti in cinque paesi), perché il vaccino sia efficace occorre tenere conto del contesto economico e culturale locale.

Il farmaco va conservato a bassa temperatura e nelle regioni colpite spesso manca la corrente elettrica per i frigoriferi. È necessario convincere la popolazione a isolare i pazienti affidandoli a ospedali spesso fatiscenti, mentre nella cultura tradizionale il malato deve essere circondato dal suo gruppo familiare. Senza la collaborazione della popolazione, la campagna di vaccinazioni mirate è praticamente impossibile.

Ma ciò che spaventa di più gli esperti è l’instabilità del Nord del Kivu. Da oltre un decennio, la regione è teatro di un conflitto armato di intensità variabile tra esercito, gruppi ribelli locali e le milizie fuoriuscite dal Ruanda dopo la guerra civile del 1994. Secondo le organizzazioni umanitarie, oltre un milione di profughi avrebbero lasciato le proprie case, diretti verso Uganda la Tanzania.

Nei prossimi mesi si attendono ulteriori tensioni: il 23 dicembre dovrebbero tenersi nuove elezioni presidenziali, quelle previste nel 2016 e poi rimandate. Dopo 17 anni al potere, Joseph Kabila non potrà più presentarsi ed è prevedibile che punti a un nuovo rinvio, magari fomentando scontri inter-etnici. Se ciò accadesse, le ondate di profughi attraverso le frontiere renderanno le operazioni sanitarie ancora più pericolose e complicate.

Come se non bastasse, nei giorni scorsi gli scienziati hanno compiuto scoperte non proprio tranquillizzanti su Ebola. I ricercatori dell’università di Davis (California) hanno individuato un ceppo finora sconosciuto in alcuni pipistrelli del Sierra Leone. Il nuovo ceppo può trasmettersi all’uomo, ma non se ne conoscono ancora gli effetti sulla salute.

L’altro allarme proviene invece da una ricerca pubblicata il 23 luglio sulla rivista medica The Lancet. I ricercatori hanno scoperto che un paziente sopravvissuto alla malattia può essere ancora contagioso un anno dopo.

È quanto è successo a una donna liberiana durante l’epidemia del 2014-2016. Il virus potrebbe essere stato «risvegliato» da una gravidanza successiva alla malattia. La possibilità che i pazienti siano ancora contagiosi a mesi di distanza potrebbe rendere ancor più difficile la prevenzione del contagio.