Dopo due secoli di assenza l’orso marsicano, il più prezioso mammifero italiano, è tornato nei boschi del Gran Sasso, la montagna più alta dell’Appennino. Il suo primo avvistamento avviene nella faggeta del Voltigno durante primi giorni di uscita dal lockdown, esattamente nello stesso versante in cui nel 1811 è riportata l’ultima presenza del plantigrado. Era questa una «Terra abbondante di lupi e di orsi», come si legge in un resoconto del 1575 del sacerdote Serafino Razzi, dove nel vicino paese di Farindola «esiste una scuola in cui s’impara il modo di affrontare l’orso».

AMMAZZALORSO E’ INFATTI UN COGNOME ancora diffuso nel borgo, a testimonianza di una passata convivenza certamente non facile tra l’uomo e il plantigrado.

I ricercatori del parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga erano sulle sue tracce già da molti anni. «Quando ci hanno segnalato nuovamente la presenza dell’orso eravamo increduli. Abbiamo confrontato il materiale foto e video realizzato in quei giorni per contestualizzarlo ai luoghi, che insieme al ritrovamento di tracce ed escrementi hanno confermato la veridicità della segnalazione» afferma Federico Striglioni, responsabile scientifico del parco del Gran Sasso. «E’ un giovane orso che può aver svernato in questi boschi o essere arrivato recentemente da aree lontane».

LA STORIA DELL’ORSO MARSICANO è custodita un centinaio di km più a sud, nel territorio del parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, istituito un secolo fa proprio per salvaguardare l’ultimo nucleo di questo plantigrado. Descritto come sottospecie nel 1921 – Ursus arctos marsicanus – per alcune differenze morfologiche rispetto l’orso alpino, oggi è presente in questo areale con un nucleo di circa 50-60 individui. Un territorio condiviso tra uomo e orso da più di un secolo, che in parte è riuscito a raggiungere un punto di equilibrio in cui si garantisce un ambiente a misura d’orso anche sostenendo le attività umane tradizionali, in particolare le aziende agricole e zootecniche «visitate» talvolta dal plantigrado.

L’immagine dell’orso è diventata così il simbolo stesso di molte attività del parco, di prodotti locali e di attività turistiche. Visitando i paesi si percepisce quanto il patrimonio naturale sia riuscito a far muovere l’economia locale e a creare un comune sentimento di appartenenza per un mondo selvaggio di cui l’orso è custode.

QUI L’ORSO E’ DIVENTATO UNA IMPORTANTE attrazione turistica. In tanti si recano al Parco Nazionale d’Abruzzo per la sola curiosità di incontrarlo. È quanto sta avvenendo quest’anno a Villalago, un piccolo borgo esterno ai confini del parco nazionale d’Abruzzo, in cui un’orsa con quattro cuccioli richiama giornalmente centinaia di appassionati e semplici curiosi. Un evento che, per preservare la tranquillità della famiglia di plantigradi, richiede una sorveglianza costante dei carabinieri forestali e dei guardaparco. È stata anche emanata una ordinanza sindacale in cui si dispone la chiusura delle strade che conducono nei pressi delle aree di alimentazione dell’orsa. Azioni che servono a mantenere l’uomo ad una giusta distanza dall’animale e ad educarlo in direzione di un corretto approccio all’osservazione della fauna.

MA GLI EVENTI DI «ATTRAZIONE» NEL PARCO nazionale d’Abruzzo non sono affatto rari, procurati talvolta da alcuni orsi «confidenti» che entrano nei paesi alla ricerca di cibo. In questo caso si innescano meccanismi sociali particolari e si arriva spesso ad una spaccatura tra i residenti: chi vede un richiamo turistico per la presenza dell’orso e chi invece, per un pollo mangiato o una cantina saccheggiata, patisce i danni.

E in entrambi i casi l’aspetto sicurezza diventa prioritario per chi deve sorvegliare l’animale. Ogni orso «confidente» è pertanto gestito con un apposito protocollo che prevede azioni dirette al suo allontanamento e interventi di dissuasione dalle sue visite nelle aziende agricole e zootecniche.

ORSI «CONFIDENTI» E FAMOSI, ma forse anche un po’ dannosi come Gemma, Amarena e Forchetta sono comunque parte di un patrimonio naturale che il parco continua a preservare, al pari della restante popolazione di plantigradi più nascosta e meno visibile che abita l’area protetta. Il parco nazionale d’Abruzzo resta lo scrigno in cui è custodito e protetto il nucleo principale di questo mammifero, ma anche il luogo da cui è partita la lenta riconquista dei territori storici da cui si è estinto in passato. Inizialmente appena oltre i confini del parco e successivamente su altre montagne abruzzesi come i Simbruini-Ernici, Velino-Sirente, Maiella e infine il Gran Sasso.

È in questi nuovi territori che si gioca una delle prossime partite tra l’orso e l’uomo, in cui ogni ente di gestione diventa responsabile per la tutela dell’animale ma anche per la campagna di sensibilizzazione alla convivenza con una specie animale e una importante risorsa naturale.

«A CIRCA DUE MESI DAL SUO AVVISTAMENTO, l’orso del Gran Sasso continua a spostarsi e farsi osservare da decine di persone che lo incontrano per la prima volta. C’è curiosità, ma anche paura» racconta Federico Striglioni: «E’ nostro compito lavorare verso una corretta informazione su chi è l’orso, spiegare le sue esigenze e preparare le comunità di queste montagne ad una convivenza in equilibrio tra attività tradizionali e le necessità naturali del plantigrado».

La famosa invasione di orsi in Abruzzo è iniziata. Sta ai nostri comportamenti fare in modo che i plantigradi, come nel romanzo di Buzzati, non diventino «superbi, ambiziosi, pieni di invidie e capricci» per essersi avvicinati troppo al mondo degli uomini.