Il ddl sulla concorrenza del governo Draghi è il poster dell’incompetenza. Spiegare l’economia al ministro Franco e a Draghi ormai non è più un inedito. Parliamo esattamente di: 1) promuovere lo sviluppo della concorrenza, anche al fine di garantire l’accesso ai mercati di imprese di minori dimensioni; 2) rimuovere gli ostacoli regolatori, di carattere normativo e amministrativo, all’apertura dei mercati; 3) garantire la tutela dei consumatori.

Quali sono gli oggetti della presunta concorrenza e ben-essere dei cittadini? Energia; trasporti; rifiuti; avvio di un’attività imprenditoriale; vigilanza del mercato. Tra gli oggetti si «agevola l’accesso all’accreditamento delle strutture sanitarie private e introduce criteri dinamici per la verifica periodica delle strutture private convenzionate». Si tratta di beni e servizi che per definizione dovrebbero essere erogati dal pubblico in ragione dei fallimenti del mercato. La pandemia ha insegnato qualcosa? Viva il privato e il denaro?

Possiamo anche rappresentare le liberalizzazioni dei mercati come la politica economica, ma proprio l’economia del benessere e le lezioni di Caffè affermano l’esatto contrario. Non si tratta di aderire acriticamente alla liberalizzazione e alla successiva cessione delle attività pubbliche (imprese), piuttosto di indagare l’equilibrio tra il mercato e la necessità dell’intervento dello Stato nell’economia reale per lo sviluppo. Per essere espliciti, caro Draghi: l’esercizio di impresa è uno strumento di intervento molto incisivo perché permette allo Stato e alla pubblica amministrazione di inserirsi nei meccanismi di sviluppo. Tutti i più importanti Paesi a capitalismo avanzato hanno tratto un enorme beneficio dalla presenza dello Stato nell’economia reale; diversamente sarebbe difficile parlare di capitalismo moderno e società liberale.

L’impresa pubblica non era e non è la rappresentazione del potere o dell’occupazione del mercato, quindi una limitazione dell’intrapresa, piuttosto era e potrebbe essere uno strumento prezioso che la pubblica amministrazione utilizza per risolvere i molti e irrisolti problemi economici, in particolare quando è impossibile realizzare le condizioni necessarie per lo sviluppo della concorrenza perfetta. Parliamo dei monopoli naturali e/o tecnici, dell’asimmetria informativa e dei mercati imperfetti. In queste attività, in particolare quelle che usufruiscono di una rete (network), i prezzi che si realizzano sul mercato, o sono troppo alti o sono prezzi monopolistici, nel senso che per avere dei costi marginali contenuti si è costretti a sviluppare delle economie di scala che nei fatti soddisfano tutta la domanda; ciò fa il paio con i costi fissi e i costi variabili: le grandi strutture a rete (energia – gas ed elettricità -, trasporto su ferro, impianti, telecomunicazioni ed altre ancora) mediamente hanno dei costi fissi più alti dei costi variabili nell’esercizio dell’attività. Indiscutibilmente la tecnologia potrebbe avvicinare alcuni settori alla concorrenza quando abbassa i costi marginali e medi dei beni e servizi erogati in regime di monopolio naturale, ma non tutti i settori e le attività economiche, pur in presenza di forti processi innovativi, devono o possono essere liberalizzati.

La questione vera è la seguente: l’impresa pubblica è ancora oggi uno strumento prezioso per lo sviluppo economico di un paese? Se la politica economica è l’insieme degli interventi con i quali le autorità pubbliche indirizzano il sistema economico verso la realizzazione di determinati obiettivi, lo Stato non può fare a meno di una presenza in determinati settori strategici. Tra le altre cose lo chiede l’Europa. Draghi, NgEu chiede proprio questo e non di regalare le risorse ai privati. Inoltre, determinati servizi pubblici (indivisibili e non rivali), così come quelli universalistici, sono disponibili a tutti i cittadini in ragione del bene o servizio reso (beni di merito). Il mercato, leggasi concorrenza, in questi settori non è efficiente. Infatti, il prezzo di mercato del servizio pubblico e/o universalistico sarebbe troppo alto per i cittadini, cioè si ridurrebbe l’accesso allo stesso servizio. Molti analisti hanno suggerito di ridimensionare la macchina pubblica, come se il mercato avesse comportamenti più virtuosi, ma non per questo hanno chiesto il suo «ridimensionamento». Draghi è figlio di questa storia. La concorrenza è una buona cosa, ma non possiamo applicarla ai servizi di merito e universalistici.