Vinland è tradizionalmente il nome che gli antichi Vichinghi diedero a quella zona dell’America settentrionale che scoprirono intorno all’anno Mille. La questione è ancora ampiamente dibattuta e non si sa con certezza in quali luoghi sbarcarono effettivamente e se le terre d’oltre oceano descritte nella saga di Erik il Rosso siano da localizzare con l’attuale isola di Terranova, il Labrador o, addirittura, secondo alcuni studi più recenti, molto più a sud, verso i confini dello stato della Virginia.
Vinland è anche il nome del cottage che Catharine Lorillard Wolfe (1828-’87) fece costruire nel 1882 a Ochre Point, Newport, Rhode Island, in quella località famosa per essere stata prescelta quale meta di villeggiatura della migliore società newyorkese della gilded age, di cui la Wolfe era un’esponente di primo piano e dove ancora oggi si trovano le più interessanti architetture di ville che testimoniano lo sfarzo e il gusto di quegli anni.
Catharine era erede di una delle più grandi fortune d’America: il padre, uno dei fondatori e primo presidente del Museo di Storia Naturale di New York, fu anche uno dei maggiori esponenti del mercato immobiliare della città, mentre la madre aveva, a sua volta, ereditato l’immenso patrimonio della Lorillard Tobacco Company. Catharine, secondo lo stile di vita dell’alta società americana di fine Ottocento, fu una nota filantropa e grande collezionista di opere d’arte e, a detta del New York Times, al momento della sua morte i suoi beni ammontavano a quasi dieci milioni di dollari, oltre a contemplare diverse proprietà immobiliari e una imponente collezione di dipinti. La maggior parte di essi raggiunse il Metropolitan Museum attraverso un notevole lascito (Wolfe Fund), accompagnato da un’ingente somma di denaro e dal suo ritratto, dipinto da Alexandre Cabanel nel 1876, in cui appare in un elegante vestito di raso bianco bordato di pelliccia, lievemente appoggiata ad un mobile ricoperto di un tessuto orientaleggiante.
Quasi unico esempio fra le grandi ereditiere americane di quegli anni, Catharine non si sposò mai e condusse una vita per lo più ritirata, commissionando nel 1882 allo studio di architettura Peaboby & Stearns la realizzazione del cottage di Newport che sarebbe dovuto diventare il suo rifugio. La scelta non fu certamente casuale perché i due architetti, fra i vari progetti che li avevano resi celebri, avevano già disegnato la Matthews Hall dell’Università di Harvard, lo Smith College a Northampton e le residenze di molti altri rappresentanti dell’alta società dell’East Coast americana, fra cui la famosa Rough Point di proprietà di Frederick e Louise Vanderbilt, tutte in pietra rossa di arenaria locale e ispirate allo stile neoromanico e di revival medievale che caratterizzava le arti di metà Ottocento.
La casa fu pensata dalla Wolfe come un omaggio al poema The Skeleton in Armor, di Henry Wadsworth Longfellow, pubblicato nel 1841, a sua volta ispirato al presunto ritrovamento di uno scheletro avvenuto pochi anni prima nella località di Fall River nel Massachussets e in cui venivano narrate, in modo romantico ed evocativo, le gesta della conquista, da parte dei Vichinghi, del Nord America, di quella zona cioè che, proprio come il cottage di Catharine, fu chiamata Vinland. Per l’arredamento interno vennero commissionate le opere di alcuni dei più importanti artisti contemporanei rappresentanti del movimento Arts and Crafts fra cui Edward Burne-Jones, che in particolare ne disegnò le vetrate i cui cartoni sono ora al Victoria and Albert Museum, William Morris e Walter Crane, a cui fu affidato il progetto di un lungo fregio per decorare la sala da pranzo.
Nel 1882 Walter Crane, nel corso di un viaggio in Italia, era appena arrivato a Roma e inaspettatamente ricevette la lettera del reverendo Robert J. Nevin della chiesa americana di San Paolo entro le Mura a via Nazionale, nota per i mosaici realizzati su disegno di Burne-Jones, che, come l’artista stesso riporta nel proprio libro di memorie An Artist’s Reminiscences, «asked to me to undertake the design and painting of an important frieze for a newly built house at Newport of miss Catharine Wolfe of New York. It was for the decoration of the dining-room. The subject was to be taken from Longfellow’s Skeleton in Armor».
Il fregio sarebbe stato lungo quasi trenta metri e doveva essere composto da ben sette tele che avrebbero raccontato sei diversi episodi tratti dal libro di Longfellow. Per Crane, che certamente non si aspettava di ricevere nel corso del suo viaggio in Italia una simile commissione, vista l’importanza e soprattutto le dimensioni del lavoro, fu necessario trovare subito uno studio dove poter lavorare, «it was necessary for such a work to take a studio at once, and I found one in the via Sistina, not particulary good one, it is true, but studios were scarce, and I made it to do». Come ancora riferisce lo stesso Crane nel suo libro di memorie «I had rather contemplated being free to make studies in and about Rome, but as I accepted this commission, I had to pratically stick to my studio most of my time, and even then did not finally complete the frieze until I returned to England, though the greater part of it was sent to Newport direct from Rome when finished».
Una parte del lavoro venne quindi spedita in America direttamente da Roma, mentre la parte restante, almeno tre tele, fu completata e spedita da Londra dopo il ritorno dell’artista. A questo imponente ciclo figurativo si possono con certezza associare altri due dipinti di Crane, The Viking’s Bride e The Viking’s Wooing, che vennero esposti al termine del 1883 alla Grosvenor Gallery di Londra.
Dopo la morte della Wolfe la casa di Vinland venne venduta nel 1896 al magnate Hamilton McKown Twombly e a sua moglie Florence Adele Vanderbilt, anche loro grandi protagonisti degli anni della gilded age, che ne modificarono l’assetto ampliandola notevolmente finché, nel 1955, la loro figlia Florence Burden la donò alla Salve Regina University di Newport.
Il fregio, già allora ridotto in pessime condizioni, venne quindi venduto nel 1987 da Christie’s insieme a buona parte del mobilio interno e, successivamente, quest’anno, dopo alcuni passaggi sul mercato antiquario, è stato acquistato dal Musée des Beaux Arts di Rouen, che va così completando un importante nucleo di opere d’arte inglese e del movimento Arts and Crafts e rafforzando in questo modo il legame profondo fra la Normandia e la Gran Bretagna.
Per terminare il complicato restauro dell’opera il Museo di Rouen, per la prima volta nella sua storia, ha ora promosso un’interessante mobilitazione pubblica mediante un’operazione di finanziamento partecipativo (crowdfunding). Si tratta di una ricerca di fondi che, anche grazie a una serie di notevoli sgravi fiscali destinati ai privati e in particolare alle imprese, si rivolge ai cittadini di Rouen, facendoli così sentire direttamente coinvolti nel progetto del proprio Museo. Come però ben spiegato da Sylvain Amic, direttore de la Réunion des Musées Métropolitains – Rouen Normandie, l’idea di far partecipare all’iniziativa il pubblico, oltre a contribuire a preservare il patrimonio della Normandia valorizzando le tracce, lì, del passaggio dei Vichinghi, viene lanciata anche oltre i confini francesi, con la speranza di recuperare l’apparenza originaria del fregio e di restituirgli un appropriato luogo espositivo, dopo tutte le vicissitudini che lo hanno visto girovagare fra l’Europa e l’America.