Dopo l’inventiva parentesi su Sky la cerimonia dei David di Donatello è tornata alla Rai, affidando la serata alla conduzione di Carlo Conti, che fa subito tv familiare evergreen. Il resto segue, senza impennate alcune, studio, ospiti, battute, il tema serio che deve caratterizzare la serata. Si parla di donne, ovviamente, anche se non siamo dalle parti del Golden Globe o dell’Oscar che pure se molto sintonizzato sul «politicamente corretto» specie nell’era Trump, ha dato a #me too ugual rilievo che a altri temi sensibili, come migranti e razzismo.

Che si rivendichi sul palco del David e con le parole di Mattarella una eguaglianza – sottolineata dalla presenza del gruppo di donne attrici, registe, operatrici dello spettacolo firmatarie di Dissenso comune – di salario, di opportunità, la necessità di un’educazione di genere sin dalle scuole e di un impegno comune contro la violenza è sicuramente importante perché conosciamo l’impatto mediatico di un testimonial «famoso». Ma forse sarà stato per il contesto, per quel rituale televisivo così ingessato, che questa rivendicazione del David al femminile è finita per sembrare posticcia, priva di necessità, come quelle cose che si devono fare perché parte di un cerimoniale e che si dimenticano appena scatta la pubblicità.

Sarà anche che tra i candidati – per carità non rivendico «quote rosa» – di registe ce ne erano poche, anzi una sola, Susanna Nicchiarelli, con uno dei film migliori dell’anno, Nico 1988, e un’attrice strepitosa – ma non ha avuto nessun premio in queste categorie. Non che non ci fossero altri titoli, per esempio Amori che non sanno stare al mondo di Francesca Comencini, un bel film, una brava regista (ma era bello anche La vita in comune di Edoardo Winspeare) ma lì entriamo nel sistema delle votazioni, su cui vengono dei dubbi vedendo per esempio la categoria documentari: cinquina finale di titoli che dicono molto poco.

E allora è forse questo premio che fa sbiadire anche le rivendicazioni più giuste e necessarie, un’immagine di un cinema italiano che lascia poco spazio alle sorprese, che sembra ancora distratto verso quanto si muove ai margini, poco disposto a scompigliare le caselline di comme il faut. Per fortuna poi arrivano delle meteore, come il premio di cui siamo felicissimi ad A Ciambra di Jonas Carpignano.