È il terzo giorno di scontri tra poliziotti e manifestanti. 1700 persone sono state arrestate, mentre oltre 170 sono i feriti. Gli attivisti hanno dato fuoco ad alcuni uffici dell’Akp, il partito del premier Erdogan. A Istanbul un dimostrante è morto e altri quattro sono rimasti feriti. Un blindato-idrante della polizia si è scagliato i dimostranti.

Dopo ore di indecisioni sulle responsabilità è emerso che l’azione è stata opera delle forze di polizia. Secondo fonti ufficiali, la vittima sarebbe un ragazzo di venti anni, Mehmet Ayvalitas. I «giovani turchi» sono arrabbiati, uniti, preparati, consapevoli di voler contribuire a portare cambiamento nel loro paese. Ecco il profilo di queste giovani donne e uomini turchi, intrappolati in un sistema che non gli appartiene, pronti a lottare ora per il loro futuro. Queste giovani menti sono critiche, stanche di un conservatorismo che non le rispecchia, pronte a difendere non solo i diritti dell’ambiente, ma soprattutto a lottare contro un governo definito fascista e autoritario. Oslam, una ragazza ventisettenne turca, con un master negli Stati uniti, difende la sua presenza in piazza per proteggere i diritti delle donne, in particolare dopo la legge approvata dal governo turco che vieta l’aborto. «Sono qui a protestare per difendere in primis i diritti delle donne, degli omosessuali e per urlare il nostro diritto di espressione in tutte le sue forme. Oggi, sono qui in questa piazza, per gridare il mio no alla politica razzista di questo governo», urla la ragazza.

Questi giovani sono parte di movimenti eterogenei. Ci sono tanti simboli e bandiere: politiche, studentesche, ambientali, contro l’urbanizzazione sfrenata, anarchiche, animaliste, femministe. Nonostante queste sfumature, i manifestanti si ritrovano uniti da un dissenso comune verso la violenza indiscriminata, legittimata da un governo democraticamente eletto, un’indignazione profonda che li ha visti in prima linea anche nei mesi scorsi quando centinaia di giovani turchi si erano ritrovati a manifestare per denunciare le violenze contro i civili siriani da parte del governo Assad.

Il grido delle nuove generazioni turche si sta facendo sentire forte non soltanto a Istanbul, ma in tutto il paese. In questi giorni di scontri, ragazze e ragazzi turchi sono nelle prime linee a fronteggiare la polizia e i suoi gas lacrimogeni. Gli occhi attenti, profondi, senza paura. Sono stanchi di vivere nel timore di fantasmi passati, vogliono e chiedono di essere integrati nel processo decisionale, di essere interpellati nella vita pubblica. Sinan, studente di sociologia all’Università del Bosforo, grida forte il suo scontento verso qualsiasi tipo di violenza contro i civili.

La rivoluzione dei giovani turchi non si combatte solo nelle strade. Tanti studenti delle scuole superiori in alcune zone di Istanbul hanno deciso di vestirsi di nero per dimostrare la loro indignazione contro la violenza indiscriminata utilizzata dalla polizia in queste giornate di scontri. Giovani responsabili, attivi, solidali, tecnologici. Ieri mattina in migliaia si sono ritrovati per raccogliere i rifiuti di piazza Taksim dopo gli scontri della notte, rivendicando la cura verso uno spazio comune. Scene di solidarietà anche nella lotta: ieri notte una catena umana ha rimosso le mattonelle dei marciapiedi per creare barricate tra Besikstas e Taksim e impedire alla polizia qualsiasi movimento. Barricate e ritrovi che sono stati organizzati grazie anche all’uso di Twitter.

Questa nuova generazione di giovani, coscienti e energici, è consapevole che insieme può rivendicare e lottare per i diritti turchi e umani. Sono loro i protagonisti di questa protesta, sono loro i poeti di questa rivoluzione della piazza ed è solo l’inizio.