Non so e mi auguro che la mia sia un’impressione sbagliata, ma da qualche tempo a questa parte mi pare sia andata affievolendosi, nel campo della sinistra e degli stessi movimenti e organizzazioni sociali, l’attenzione e l’iniziativa rispetto ai processi di privatizzazione dei beni comuni e dei servizi pubblici che non solo non si sono fermati, ma che anzi molti indizi fanno presagire siano in procinto di essere rilanciati in grande stile. È senz’altro vero che siamo in una fase politica e sociale molto diversa da quella che ci aveva portati alla straordinaria vittoria referendaria di due anni e mezzo fa, ma ciò non può giustificare una sorta di sottovalutazione del fatto che, anche su questo terreno, si sta producendo una «lotta di classe alla rovescia».

Nei giorni scorsi è iniziata, e poi subito rinviata al prossimo 20 febbraio, la discussione davanti al Tar della Lombardia promossa dal ricorso del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua e da Federconsumatori in contrasto al metodo tariffario del servizio idrico approvato dall’Authority per l’Energia elettrica e il Gas che ripristina la remunerazione del capitale nelle bollette, violando chiaramente l’esito del secondo referendum sull’acqua. Non penso possa sfuggire la portata del pronunciamento che dovrà produrre il Tar Lombardia rispetto alla profonda lesione democratica che ha messo in campo l’Aeeg. Certamente non è successo al Sole 24 Ore che, nei giorni scorsi, ha pubblicato autorevoli interventi per sostenere la tesi che l’accoglimento del ricorso del movimento per l’acqua comporterebbe addirittura il blocco degli investimenti nel settore, il crack dei conti pubblici e la nazionalizzazione del settore. Argomenti speciosi e che evidenziano la debolezza di chi non riesce a contestare nel merito le nostre ragioni, ma significativi per dare conto della valenza degli interessi mobilitati e dello scontro in corso.

Sempre in questi giorni, la mai doma senatrice Lanzillotta ha riproposto i suoi emendamenti, già bocciati a dicembre nella discussione sul decreto «Salva Roma», volti a privatizzare Acea e le altre aziende dei servizi pubblici di Roma e il Senato ha cominciato ieri a discuterli. Si sbaglierebbe a ritenere che questa sia un’iniziativa un po’ estemporanea e sopra le righe e non vedere, invece, che siamo probabilmente in presenza della punta di diamante di una ripresa di un’offensiva generalizzata per mettere sul mercato la gran parte delle aziende dei servizi pubblici di proprietà degli Enti Locali.

Del resto, ciò si inserisce con grande coerenza nella nuova stagione di privatizzazioni lanciata poco tempo fa dal governo Letta con l’intenzione di aprire ai privati quel poco che resta delle aziende pubbliche nazionali, suggellata l’altro giorno con l’annuncio di privatizzare un pacchetto consistente (solo di minoranza?) di Poste Italiane spa. E’ evidente peraltro che tali scelte non sono in grado di rispondere alle finalità con cui vengono giustificate: come praticamente tutti sottolineano, gli introiti previsti da tutte le privatizzazioni finora annunciate pari a circa 6-7 miliardi sono assolutamente risibili rispetto all’abbattimento del debito pubblico che viaggia stabilmente sopra i 2000 miliardi di euro. In realtà, la strada delle ulteriori privatizzazioni, da una parte, rende conclamata la difficoltà insormontabile di affrontare la crisi con l’armamentario delle impostazioni neoliberiste e, dall’altra, disvela che essa è prevalentemente una colossale operazione di immagine e dai forti contenuti ideologici. Come si è incaricato di spiegare recentemente dalla colonne de La Repubblica il finanziere Gianni Tamburo, presentato come uno degli artefici dell’ondata delle grandi privatizzazioni dei primi anni ’90, «fin dal 1991 abbiamo sempre detto che le privatizzazioni non si fanno per incassare ma per cambiare la cultura del Paese. Il privato che gestisce è sempre meglio del pubblico».

Alzando poi un po’ lo sguardo, non si può non vedere come tutto ciò collimi con i negoziati segreti in corso tra Usa e Ue per arrivare a stipulare il Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti, il Ttip, il cui punto più emblematico è costituito dall’intenzione di dar vita ad un tribunale internazionale nel quale le multinazionali possono citare in giudizio i singoli Stati nazionali, nel momento in cui prendessero provvedimenti considerati restrittivi rispetto al totem del «libero scambio.

Occorre dunque reagire a questo rilancio dell’iniziativa privatizzatrice. Lo fa, ad esempio, il movimento per l’acqua pubblica a Roma che organizza 3 giorni di iniziativa, dal 29 al 31 gennaio, con presidi sotto Acea e regione Lazio, anche per chiedere che quest’ultima legiferi sulla basa della proposta di iniziativa popolare depositata l’anno scorso per incentivare la ripubblicizzazione del servizio idrico. Così come non si stancano di farlo, in moltissimi territori, i comitati per l’acqua e i movimenti per i beni comuni che continuano a rivendicare l’attuazione dell’esito referendario di 2 anni e mezzo fa. Ma non si sfugge alla necessità, nelle forme che andranno individuate, di tornare a costruire un’agenda di lavoro e mobilitazione anche sul piano nazionale e europeo, capace di ampliare l’orizzonte dell’iniziativa, mettere in campo una massa critica in grado di contrastare i processi corposi cui abbiamo fatto riferimento, costruire un primo punto di unificazione del lavoro e dell’iniziativa di quei tanti soggetti che si battono per difendere i beni comuni e i servizi pubblici.

Va in questa direzione la riflessione che ha aperto il Forum dei Movimenti per l’Acqua. Abbiamo infatti ben presente che è alle nostre spalle la stagione per cui l’iniziativa sul tema dell’acqua ha svolto la funzione fondamentale di far irrompere nell’agenda sociale e politica la narrazione dei beni comuni, persino come paradigma teorico alternativo al pensiero unico. Allo stesso modo siamo consapevoli che la nostra insistenza, su cui non demordiamo, sull’attuazione dei risultati referendari non ha di per sé la forza e la capacità di essere immediatamente polo di aggregazione di tutte le battaglie in corso che, in forme e su terreni diversi, contrastano la riproposizione della logica neoliberista dentro la crisi. Intendiamo misurarci con le grandi novità che hanno scompaginato il panorama sociale e politico in questi ultimi anni: la profondità della crisi economica e sociale con la conseguente imposizione delle politiche di austerità, l’emergere di una crisi fortissima della rappresentanza assieme ad una nuova domanda di partecipazione, la moltiplicazione dei soggetti che lavorano su un’idea alternativa di modello produttivo e sociale ma che, contemporaneamente, producono un effetto di dispersione e frammentarietà.

Da qui l’esigenza, che intendiamo mettere al centro della prossima Assemblea nazionale del movimento per l’acqua che svolgeremo il prossimo 1-2 marzo, di ragionare su quali terreni si possa riattivare una vasta “coalizione sociale” per l’affermazione dei beni comuni e la costruzione di una prospettiva di uscita dalla crisi alternativa alle ricette neoliberiste e alle politiche di austerità. Detto in altri termini, ciò comporta, fermo restando il “compito” di ciascun soggetto di far avanzare i propri temi, lo sforzo di individuare i nessi, i punti fondamentali di intersezione che necessariamente ciascun soggetto e organizzazione sociale incontra nel proprio lavoro di trasformazione dell’esistente. Non c’è dubbio che, in primo luogo, da questo punto di vista, le questioni di chi decide su come si reperiscono e si impiegano le risorse – il tema della finanza – e, più in generale, di chi e come decide le scelte di fondo del modello produttivo e sociale – il tema della democrazia e delle sue forme – costituiscono punti altrettanto ineludibili per intraprendere questo percorso. Un percorso che pensiamo, se si vuol provare a costruire quest’orizzonte, non può che essere largo e partecipato: non a caso, ci rivolgiamo a tutte quelle variegate forze e soggetti che sono state in campo nelle mobilitazioni sociali dell’autunno scorso, da quelle che sono state protagoniste dell’iniziativa del 12 ottobre per l’attuazione della Costituzione a coloro che hanno dato vita alle manifestazioni del 19 ottobre e poi del 16 novembre. Lo facciamo in modo aperto e non precostituito, con l’intenzione di produrre una ricerca e un percorso collettivo che salvaguardi le specificità di ciascuno, ma, contemporaneamente, inizi a mettere in campo idee e piattaforme di iniziative capaci di unificare il mondo variegato e ricco di potenzialità di chi non si rassegna, prima di tutto nella società, a subire il pensiero unico che continua ad essere riproposto anche nella crisi. Mi pare un’impresa utile e, in ogni caso, meritevole di essere discussa e verificata.

*Forum Italiano Movimenti per l’Acqua