La vicenda della piccola Ginevra, morta di Covid-19 a due anni perché in tutta la Calabria non esistono ospedali con terapie intensive per i bambini, è solo l’ultima delle tristi e sconcertanti storie di malasanità. Passata l’emozione del momento si tende a dimenticare. Sarebbe utile, tuttavia, interrogarci su cosa, durante l’emergenza pandemica, non ha funzionato. Covid-19 si è abbattuto sul nostro paese trovando davanti a sé un servizio sanitario nazionale (Ssn) sfaldato e inefficiente. Fin dagli anni Ottanta del secolo scorso aveva cominciato a perdere il suo carattere pubblico e nazionale, alla ricerca affannosa di un modello aziendalistico e regionalista. All’urto della pandemia, il sistema sanitario – comprese le «eccellenze» lombardo-venete ed emiliano-romagnole – non ha retto.

Sono venuti al pettine difetti e disfunzioni gravi. È venuta alla luce la fragilità di un Ssn ruotante intorno agli ospedali e sguarnito di servizi sul territorio. È stato svelato il bluff che si nasconde dietro l’ideologia (liberista) dell’efficienza, della concorrenza e dei minori costi. Il disastro è testimoniato dal numero dei morti, dai malati con altre e gravi patologie senza cure, dal calo dell’aspettativa di vita.

Governo, partiti, presidenti di regione fanno finta di niente. Non danno segni di ravvedimento. Anzi, non vedono l’ora di tornare alla «normalità». Gli occhi sono puntati sulle risorse che il Pnrr mette a disposizione della sanità. Nessuno che si preoccupi di cambiare il management, correggendo una gestione imperniata sulle convenzioni pubblico-privato. Centro-destra e centro- sinistra concordano in una politica che di fatto asseconda gli interessi privati. Ai laboratori e alle cliniche private viene assicurata la polpa, cioè le attività sanitarie più redditizie. Al pubblico, spogliato e impoverito, viene dato l’osso, una funzione residuale.

La circolazione del virus si è indebolita, ma i suoi effetti li sentiremo a lungo. Sindemia è un termine con cui si indica lo stretto legame tra pandemia e crisi sociale e ambientale. Sul piano sanitario gli anziani sono quelli che hanno sofferto di più. In questi due anni ci siamo sentiti vicini all’infelicità e alla sofferenza dei vecchi, rinchiusi nelle Rsa, lasciati morire in solitudine. Ma la commozione popolare e le stesse inchieste giudiziarie non hanno sortito alcun effetto.

Le Case di riposo sono sempre lì. Dopo la chiusura dei manicomi e degli orfanotrofi, restano le ultime istituzioni, insieme alle carceri, immodificabili nella loro negatività. Manca una scelta politica chiara a favore di una riforma che affermi il diritto degli anziani ad essere assistiti e curati nella loro abitazione, investendo sui servizi domiciliari e su una rete assistenziale e sanitaria sul territorio. Fanno troppo gola agli imprenditori della silver economy i profitti attesi da una società che invecchia e in cui le famiglie, senza un sostegno pubblico adeguato, sono spinte a chiudere i loro cari in moderni ospizi. E’ un tipico caso di scuola per comprendere che «ritorno alla normalità» nel linguaggio economico significa la mercificazione di tutto. Perfino i vecchi sono considerati un business, una «fetta di mercato» in crescita.

Se sul piano sanitario gli anziani sono i più colpiti, sul piano sociale lo sono i giovani, le donne, i precari, i lavoratori poveri. Gli stessi che se la passavano male già prima del 2020. I working poor sono 3 milioni di cittadini, giovani, single (o mamme sole con figli), che guadagnano meno di 1000 euro al mese, con cui devono fare la spesa, pagare le bollette e l’affitto, tirare avanti. Con l’inflazione galoppante sono questi i primi candidati a scivolare sotto la soglia della povertà. Pensiamo a quanto sia assurda e demagogica in questa situazione la campagna di Renzi e Salvini per cancellare il reddito di cittadinanza.

In Italia, secondo il Report Oxfam sulle disuguaglianze nel mondo, in questi ultimi due anni le persone indigenti sono aumentate di 2 milioni, il dato peggiore dei paesi Ocse. Nel frattempo, come scrive la rivista Forbes, da marzo 2020 ad aprile 2021 i miliardari italiani da 27 sono diventati 40 (+13) e detengono una ricchezza equivalente a 18 milioni di cittadini italiani meno abbienti. I salari sono diminuiti di 3 punti percentuali rispetto a trent’anni fa, mentre in Francia e Germania sono cresciuti di oltre il 30 per cento.

Sono dati impressionanti, ma che a stento fanno notizia. L’importante è tornare alla normalità pre-pandemia. Neppure sfiorati dal dubbio che all’origine delle ingiustizie, degli squilibri economici e degli sconvolgimenti ambientali possa esserci la «legge del profitto». Immersi in una bolla ideologica non riescono a vedere che pandemia, disuguaglianze, cambiamenti climatici, inflazione, tensioni geopolitiche e guerre sono la conseguenza diretta dell’attuale modello di produzione e di consumo. I profeti della crescita (e della normalità), rischiano di somigliare sempre più a profeti di sventura.