«Dio è un batterista», gran bel titolo per il percussionista indiano Trilok Gurtu, un uomo che ha attraversato con il sorriso sulle labbra e un’energia sovrumana almeno quattro decenni di musica senza passaporti, quel luogo bello e possibile dove si incontrano schegge di jazz, echi di note etniche, eleganti accenni popular. Il titolo sta a significare che, in questo mondo, tutto ciò che è vivo è pulsazione e battito, ed è difficile dargli torto. Questo disco  è il ventesimo per Gurtu, e di rado un suo progetto in studio ha avuto tanta compattezza, a dispetto dell’eterogeneità degli organici scelti, e delle situazioni sonore: dal gruppo più canonicamente «jazz» con tromba, trombone e tastiere alle improvvisazioni ritmiche con le tabla, dal solo con l’apporto di percussioni sintetizzate al gran finale di Try This, con la Junge Norddeutsche Philarmonie. È anche un disco di tributo a grandi amici scomparsi, in apertura: Joe Zawinul, Nana Vasconcelos, Tony Williams, tre fari di luce musicale che oggi Gurtu perpetua con lo spirito e la forza di un trentenne.