Segui gli aggiornamenti della redazione qui

«I russi hanno invaso». Così sono stato svegliato stamane poco dopo le 5 da una telefonata.

Nella notte dal mio alloggio vicino piazza Maidan non si sono sentiti i boati tremendi dei bombardamenti che in molti hanno raccontato. Le notizie confuse di quest’alba di guerra non è semplice verificarle da Kiev ma, ciò che è certo è che la città è vuota, i negozi sono chiusi, davanti ai bancomat c’è la fila, a volte anche decine di metri, e la maggior parte degli apparecchi non dà più soldi. All’inizio pensavo che li avessero bloccati ma poi sono riuscito a ritirare e quindi stanno finendo le riserve di banconote. Anche gli alimentari hanno la fila, la maggior parte della gente compra damigiane d’acqua, pane, biscotti e cioccolata.

Alcuni esercenti hanno già smesso di accettare le carte di credito e il ferramenta a pochi passi dal mio portone sta letteralmente smontando il negozio. Alle 9 ha già riempito un furgone con macchinari e attrezzi, pronto per la partenza sembrerebbe, sul bancone e sul marciapiede sono disseminate le chiavi vergini che gli sono cadute . Non è il solo, le poche persone che camminano in strada (a eccezione dei militari e delle forze di polizia), hanno valigie zaini e borsoni, si dirigono in massa verso la vicina stazione della metro (anche qui c’è una fila abbastanza lunga all’ATM) e qualcuno carica i portabagagli delle macchine.

I militari hanno gli zaini gonfi, con l’elmetto attaccato e i fucili in spalla. Di fronte al municipio c’è un gruppo nutrito intento ad ascoltare le disposizioni del caposquadra. Poco distante un banchetto con la bandiera rossa e nera dei volontari raccoglie le adesioni (si sono presentati in una ventina qui) e distribuisce equipaggiamento e zaini.

A complicare il tutto c’è un cielo terribile, di un grigio chiaro e opprimente, non si riesce a indovinare dove sia il sole e, a tratti, cade una pioggerella fitta e sottile che ti entra negli occhi.

Kiev nelle primissime ore del 24 febbraio 2022, foto Ap

 

Poco fa Oleksii, un conoscente che vive dall’altra parte del fiume che lavora come fotografo, mi ha inviato un messaggio per chiedermi se sto bene e per informarmi che insieme ad alcuni amici stanotte hanno visto «aerei da guerra, spostamenti di truppe e scie di missili». Abitano a metà strada verso gli aeroporti di Chernihiv e Boryspil.

Infatti, al momento l’unica voce confermata in città è che l’aeroporto di Kiev è stato colpito duramente e lo spazio aereo sull’Ucraino è chiuso.

Fonti ufficiose ma attendibili riportano attacchi a siti militari nei pressi di Kharkiv e Mariupol, così come nel nord. Ma, al momento, sembra che non sia ancora in atto un’invasione terrestre, neanche dalla Bielorussia. Da Odessa arrivano notizie troppo contrastanti, invieremo aggiornamenti non appena saranno verificati.

aggiornamento delle ore 14

Davanti al municipio un gazebo con le insegne di Pravyi Sektor (settore destro, ndr) raccoglie volontari sotto l’occhio di decine di soldati in attesa. Qualche ragazzo, ma la maggioranza sono uomini di mezza età. Anche una decina di ragazze già pronte con lo zaino dal quale sporge lo stuoino per il sacco a pelo. Non rilasciano dichiarazioni, forse memori del fatto che i giornalisti di mezza Europa li hanno criticati per le loro idee di stampo neonazista.

Notizie dell’ultima ora parlano di commandos di paracadutisti russi nella zona di Kiev che avrebbero come obiettivo i palazzi del governo, altre fonti citano mezzi russi di terra nella regione della capitale ucraina. Ma né l’una né l’altra notizia hanno ricevuto conferma per il momento.

Ciò che sappiamo è che ci sono stati oltre 30 raid aerei da parte dell’aviazione di Mosca, che un aereo ucraino è stato abbattuto (provocando la morte dei 5 membri dell’equipaggio) e che, sia a Odessa e sia a Mariupol i morti sono diventati almeno una quarantina in tutto. A Kiev, a parte le sirene, regna ancora il silenzio, un silenzio tremendo. Ma fuori città sembra che sia stato danneggiato anche l’aeroporto militare di Hostomel.

A metà mattinata da Mariupol arrivano notizie di case distrutte e di feriti, ciononostante il governo russo (ore 11.09) ribadisce che non attaccherà obiettivi civili. «Ma ancora leggete le notizie che arrivano dalla Russia» dice Max, di fronte a uno dei pochissimi chioschi ancora aperti, «non lo capite che Putin è pazzo». Max è un giornalista bielorusso, rifugiato politico in Ucraina che dopo aver insultato il Cremlino per un po’ mi dice «se i russi arriveranno qui ritorneranno a casa con il Cargo 200». Che vuol dire, gli chiedo, e scrive sul cellulare perché non riesce a spiegarmi bene, la risposta che trova è «nelle bare». Al momento, però, non sembra che le sue previsioni si avvereranno.

Dopo le scene della mattina, si è interrotta la corsa ai negozi per fare scorte e ai bancomat. Molti di quelli che un paio d’ore fa erano ancora aperti, ora hanno abbassato le saracinesche ed è difficile trovare qualcosa da comprare. Qualsiasi cosa. Si fa strada l’ipotesi che a breve taglino le linee elettriche e del telefono, intanto il wi-fi in hotel non funziona più.

Il viale Kreshatyk è vuoto, mai visto così, le poche macchine che passano sono governative o sfrecciano via, forse verso ovest.

Sotto la colonna di Piazza Maidan due vecchi con delle bandiere sono soli e sventolano senza posa. «È la nostra protesta contro i russi, queste sono le insegne dei nostri eroi nazionali». Rimangono lì nonostante la pioggia e un’ora dopo li ritrovo nello stesso punto.

Alla stazione ferroviaria di Kiev, foto Ap

 

Errata Corrige

«I russi hanno invaso». E la città si svuota. Il racconto della mattinata tra bancomat in crisi, militari con gli zaini gonfi, i volontari che si arruolano al banchetto di Pravyi Sektor, l’esodo di chi decide di lasciare la città mentre suonano le sirene. E le notizie confuse che arrivano dal resto del paese