Il Nord Est è ancora una locomotiva, almeno nelle urne. Il Veneto torna a votare in massa: quasi l’80%, record nazionale. E in Friuli come in Trentino l’affluenza cancella i recenti flop di partecipazione alle elezioni amministrative. Il quadrante così supera di almeno il 9% la media nazionale. Dopo un’ora dall’inizio dello scrutinio, non è facile interpretare politicamente il voto che potrebbe segnare all’orizzonte il “risveglio” della sinistra astensionista come pure la nascita di una sorta di maggioranza silenziosa, perfino oltre la Liga e i vecchi berluscones.

I primi risultati reali sono ancora con il contagocce. A Venezia (con le prime 2 sezioni su 256 con il No al 55%) il «renzismo fucsia» del sindaco Luigi Brugnaro non appare convincente. E almeno in base alle prime segnalazioni dei Comitati del No, nei sestrieri come in terraferma la sinistra alternativa si è riattivata: più gente ai seggi rispetto a giugno 2015, più voglia di contare, più attenzione alle ricadute su Ca’ Farsetti. È Vicenza che dovrebbe aver registrato la più alta affluenza, sia pure in un testa a testa con Padova e Treviso. Ma nonostante il sindaco diversamente “civico” Achille Variati e la leadership di Alessandra Moretti, in città (5 sezioni su 112 in linea con gli exit poll) sembra lontano il plebiscito renziano delle Europee 2014, mentre in provincia il primo risultato ufficiale indica il No addirittura oltre il 70%.

Dalla Marca trevigiana del governatore Luca Zaia arriva un analogo verdetto tendenziale: in 21 seggi su 820 della provincia le schede che respingono la nuova Costituzione sono il 63,6%. E la Liga Doc appare ormai in grado di riprendersi anche Verona, dove il sindaco “traditore” Flavio Tosi è a fine mandato. Riflettori puntati anche su Padova, dov’è appena caduta la maggioranza del sindaco leghista Massimo Bitonci. I numeri del referendum sono indispensabili a verificare l’effettiva praticabilità della “santa alleanza” (Pd, Fi, Ncd, tosiani, civica di destra) alle comunali di primavera. Ma in 8 seggi su 206 il Sì governativo resta inchiodato sulla soglia del 40%. E la provincia conferma che il Pd renziano non è mai in grado di sfondare.

Ai piedi delle Dolomiti, invece, si rafforza la separazione fra le due anime dell’autonomismo sussidiario. Bolzano è tiepida rispetto alla riforma costituzionale di Roma, anche perché molto più interessata alle presidenziali in Austria: paradossalmente, l’asse Pd-Svp nel Rathaus neobarocco regge meglio senza Renzi. Al contrario, Trento partecipa come ai tempi del referendum Segni e si prepara però alla possibile “rivoluzione” delle Comunali 2017 proprio sull’onda di ieri.

Tempi duri per Debora Serracchiani, vice segretario nazionale Pd e governatrice del Friuli. Un referendum nel referendum per lei che già è spalle al muro perfino all’interno del partito. Il clamoroso flop di primavera a Trieste si è riverberato anche nelle urne referendarie: il capoluogo si ferma al 69,9% di votanti e il No appare destinato a rafforzare la giunta Dipiazza. A livello provinciale, in 18 sezioni su 276, il No viaggia a quota 63,3%.

Sul filo del rasoio perfino Udine, che rischia di sancire davvero il tramonto del “riformismo democrat” insieme alla ricandidatura di Serracchiani. Infine, nel municipio di Monfalcone – dove fra il 23 ottobre e il 6 novembre si è consumato la più drammatica e incontrovertibile delle sconfitte Pd – l’attesa nella notte è solo per un’altra festa con la neo-sindaca Anna Cisint che dopo 70 anni ha già fatto sventolare la bandiera leghista.