Sono sempre più forti gli scricchiolii che si sentono in Europa. Non è ancora passato lo shock provocato dalla Brexit ed ecco che nuove e pericolose crepe potrebbero allargarsi sull’Unione europea. Come a Londra, infatti, adesso anche in altre capitali cresce la voglia di una consultazione popolare sulla permanenza o meno nella Ue. Succede a Praga, dove a ipotizzare un referendum non solo su Bruxelles ma anche sulla Nato è stato il presidente della repubblica Ceca Milos Zeman (poi contraddetto dal premier Bohuslav Sobotka, ma intanto il seme è gettato), e la stessa cosa ha fatto a Bratislava l’estrema destra di «Slovacchia nostra».

A Vienna invece, gasato dalla decisione della Corte costituzionale di far ripetere il voto che il 22 maggio ha portato all’elezione del verde Alexander Van der Bellen a presidente della repubblica, il leader della xenofoba Fpoe, Norbert Hofer, ha già minacciato l’«Oxit» nel caso in Europa entrasse la Turchia. Senza parlare, infine, delle tentazioni presenti da tempo in Olanda, Svezia e Danimarca. Insomma più che una Fortezza, come vorrebbero molti leader per contrastare il flusso dei migranti, l’Europa rischia di trasformarsi presto in un fragile castello di sabbia.

Paradossalmente una spallata in più potrebbe arrivare dalla Slovacchia, Paese da tre giorni presidente di turno della Ue. Il primo giugno scorso presentando il premier Robert Fico ai giornalisti, il presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker aveva rivelato: «Gli ho chiesto che sia europeista per i prossimi sei mesi e mi ha promesso che lo sarà». Una presentazione a dir poco anomala per chi dovrà guidare l’Europa fino alla fine dell’anno.

Juncker, però, faceva bene a preoccuparsi. Appena il tempo di insediarsi ed ecco che le rassicurazioni di Fico sembrano essersi volatilizzate. Pur proponendosi come «mediatore» tra gli interessi dei vari Stati, come prima cosa Bratislava ha confermato di voler denunciare l’Ue alla Corte europea per la decisione di stabilire quote per la divisione dei profughi. E rilanciato annunciando una sua proposta di revisione del regolamento di Dublino. Tutti temi caldi, destinati a far salire la tensione anziché scemarla.

C’è, poi, un altro punto delicato. A Bruxelles sanno bene che, al di là degli annunci, il blocco dei paesi dell’Est difficilmente lascerà l’Unione, non fosse altro perché sono tra i maggiori beneficiari dei finanziamenti europei. Viceversa è molto probabile che puntino invece ad avere un peso maggiore rispetto a quello che hanno oggi. Le avvisaglie di questa battaglia ci sono già. Ha cominciato il ministro degli Esteri della Repubblica ceca Lubomir Zaoralek per il quale, dopo la Brexit, Juncker «non è più l’uomo al posto giusto», seguito dal collega polacco Witold Waszczykowski per il quale i governi dell’est devono fare da «contrappeso» ai paesi fondatori dell’Unione. E da Bratislava fanno sapere di voler sostenere l’immediato ingresso di Bulgaria e Romania nell’area Schengen.