Una crisi che si protrae dal 2008, i suoi rilevanti e negativi effetti sul lavoro, i redditi e lo stato sociale. Un processo epocale di immigrazione che ha sommato a chi cerca un lavoro il dramma di chi fugge dalla dittatura e dalla morte.

Questo il contesto della relazione al Parlamento europeo del Presidente della Commissione J. C. Juncker sullo Stato dell’Unione.

L’analisi è stata sommaria e ha rimosso le responsabilità della Commissione sul peggioramento in atto. Le proposte frammentarie e ripetitive di interventi che hanno già dimostrato la loro inefficacia, compreso il piano di (presunti) investimenti che porta il nome del presidente e il decantato (ma inutile) “Garanzia giovani”.

Non una parola è stata destinata alla ormai evidente necessità di riscrivere i trattati per dare alle istituzioni europee le competenze che servono per affrontare le emergenze prima ricordate e per fissare un progetto nel quale la coesione sociale sia garantita dalla crescita sostenibile (alternativa all’austerità) e dalla estensione di protezioni sociali universali e dei diritti.

Anche le buone intenzioni sono apparse limitate nel discorso di Juncker. Ma sorprende l’enfasi dei commenti positivi di alcune famiglie politiche (socialisti inclusi) ad un discorso modesto.

Intendiamoci, non è in discussione la vocazione europeista di Juncker, vocazione che risalta davanti ai nazionalisti ed anche davanti ad una parte della sua stessa famiglia politica, quella popolare. Ma se si vuole davvero rilanciare l’Europa bisogna avere il coraggio dei proporre il cambiamento profondo, di sfidare gli egoismi, non con rituali appelli alla solidarietà ma con proposte che possono (anzi auspicabilmente dovrebbero) andare in rotta di collisione con le scelte prevalenti del Consiglio e di una larga parte dei governi. Ad esempio per favorire lo sviluppo servono grandi investimenti che si possono fare soltanto reperendo risorse rilevanti da politiche fiscali uniformi e coerenti. Ma non c’è una volontà forte di introdurre obblighi per le multinazionali di rendicontare periodicamente cosa fanno e quali tasse pagano. Una Apple non fa primavera.

La crescita ha bisogno di produzioni di beni e di servizi che rispettano l’ambiente altrimenti la sostenibilità è una sola. Forse pretendere proposte fiscali di vero contrasto all’evasione e all’elusione da un presidente di commissione che ricopriva lo stesso ruolo in Lussemburgo all’epoca dello scandalo Lux Leaks è eccessivo, ma non c’è alternativa per cambiare rotta. Al di là dell’enfasi nei commenti se il quadro rimane lo stesso e se, in particolare, la percezione da parte dei cittadini europei non registreranno novità, nei delicatissimi appuntamenti autunnali, che incidono sull’Europa (dalle presidenziali in Austria, al referendum sull’immigrazione in Ungheria, al voto in Spagna) i nazionalismi si ingigantiranno.

Non basta dire come fa Juncker che bisogna attivare subito le procedure per attuare la Brexit, bisogna anche “aiutare” il governo inglese a muoversi negandogli quell’interlocuzione bilaterale che invece il Consiglio accetta in silenzio. Perché la Commissione non chiede a tutti comportamenti coerenti per attuare rapidamente le conseguenze del voto democratico degli inglesi?