«Ci sono tanti poteri e tanti interessi che non gradiscono il lavoro che stiamo facendo. Sì, lo confermo. Chi vede finire monopoli, rendite di posizione, abusivismi, corruzione, mancato rispetto delle regole, chi in quel sistema che stiamo contrastando trovava la ragione della propria forza, è normale che non gradisca il nostro lavoro e che ci osteggi duramente». Lo cinguetta su Twitter, Ignazio Marino, ma lo ripete in un discorso duro e orgoglioso davanti all’assemblea capitolina, chiamato a riferire del caso surreale della «Panda rossa, ormai considerata più pericolosa di un cacciabombardiere della Corea del nord che invade lo spazio aereo di Okinawa».

Ci scherza su, il sindaco di Roma, ma fa fatica a concludere il suo discorso nell’aula Giulio Cesare, trasformata per l’occasione in una moderna arena, stipata di cittadini e manifestanti giunti in Campidoglio con un singolare corteo di scooter, con i sostenitori della giunta del sindaco «marziano» da una parte e dall’altra gli affossatori che a gran voce ne chiedono le «dimissioni».

Una giornata campale, quella di ieri, per il primo cittadino della Capitale. Iniziata stipulando un patto con la delegazione dei rivoltosi di Tor Sapienza ricevuti in Campidoglio e conclusa – dopo un faccia a faccia di un’ora con il vicesegretario nazionale del Pd, Lorenzo Guerini, e un confronto che sa più di resa dei conti con il gruppo dei 19 consiglieri dem – con le scuse ai cittadini per la sua Panda fotografata in divieto di sosta («purtroppo in quell’occasione i vigili non sono passati, e non lo dico ironicamente», sottolinea Marino), e con la ricostruzione del caso delle otto multe comminate per errore al suo veicolo privato che, come per ogni sindaco, è autorizzato a entrare nelle zone Ztl.

«Sono stati fatti errori da parte degli uffici competenti – spiega Marino nel suo discorso in Aula – ma nulla di grave, nulla che giustifichi il clamore; errori che non hanno prodotto danni, se non a me stesso. Mi sono stati sottoposti documenti che gli uffici ritenevano prova di una manomissione informatica e ho ritenuto mio dovere presentarli agli organi inquirenti. Si è gridato allo scandalo ma intanto le autorità stanno indagando e io attendo che facciano il proprio lavoro» (ma l’Ansa a sera fa sapere che «il fascicolo aperto dal pm Maiorano per accesso abusivo ad un sistema informatico potrebbe essere a breve archiviato»).

Il caso sembra chiuso, almeno per il Pd – anche quello romano. «L’incontro è stato positivo», dichiara l’ex capogruppo D’Ausilio, dimessosi dopo il sondaggio anti-Marino. Presto i consiglieri dem, che ancora non si mettono d’accordo sul suo successore, incontreranno di nuovo il sindaco «per discutere – aggiunge D’Ausilio – il merito dei contenuti di rilancio dell’azione di governo in città che abbiamo auspicato». Ma le dimissioni tanto richieste dalla destra (sebbene il Ncd non abbia presentato ieri alcuna mozione ad hoc) non ci saranno: «Chi parla di mie dimissioni non vuole comprendere la dimensione della nostra sfida, l’ambizione di cambiare Roma».

Dal Nazareno però attendono un «cambio di passo, con un segnale di attenzione forte, in tempi rapidissimi, ai temi cruciali della città». Nessun nome però, secondo fonti del Campidoglio, sarebbe stato fatto durante l’incontro con Guerini sui papabili per il rimpasto di giunta che molto probabilmente vedrà riassegnare l’assessorato alla Scuola e quello alle Politiche sociali, oltre al posto di capogabinetto che è attualmente di Luigi Fucini, ritenuto responsabile del «Panda-gate». A Marino il partito di Renzi ha chiesto solo di ricostruire un’agenda politica efficace per i prossimi tre anni, fino a fine mandato. Sondaggi alla mano e col fiato sul collo della destra che avanza nelle periferie, giocoforza il partito dunque fa quadrato di nuovo attorno al “suo” sindaco della Capitale.

E il chirurgo, che sul caso Tor Sapienza era intervenuto con troppo ritardo, già ieri mattina ha messo a segno un gol. Alla fine di un incontro durato due ore, Marino e i comitati del quartiere hanno sottoscritto un documento in sei punti che impegna entrambi – amministrazione e residenti – alla risoluzione del conflitto apertosi sul caso dei rifugiati nel centro di accoglienza di viale Morandi. Prostituzione, campi rom e occupazioni abusive sono i nodi cruciali.

«Interverremo in maniera più rigorosa possibile per liberare alcune strade dalla prostituzione», assicura Marino. E poi intensificazione dei pattugliamenti e dei presidi di polizia nelle strade del quartiere, e in particolare nei pressi del campo di via Salviati dove vivono – contro il loro volere – famiglie rom e sinti, per «impedire» il fenomeno dei «roghi tossici». Secondo il patto condiviso, si procederà anche a una verifica dello stato di attuazione del progetto Punto Verde Tor Sapienza. Ma sulla struttura di viale Morandi, gestita dalla onlus «Un sorriso», la mediazione è stata più complicata: «Rispetto alla proposta iniziale di chiudere il centro – ha riportato Marino – stiamo valutando di trasformarlo in una casa di accoglienza solo per donne e bambini».

«Vi controlleremo ogni settimana», hanno assicurato, un po’ minacciosi, gli abitanti della borgata romana. Chissà se anche con loro, come ha fatto con gli abitanti dell’Infernetto, il sindaco ha ricordato che ad essere stati cacciati via dal loro quartiere, al momento, sono stati solo dei «bambini profughi». Due parole che Marino ripete nell’Aula capitolina tra le urla di coloro che «soffiano sul fuoco dei disagio e della paura».

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