A quasi tre anni dalla vittoria referendaria del 2011, la Regione Lazio, prima in Italia, ha approvato la proposta di legge di iniziativa popolare per la gestione pubblica e partecipata del servizio idrico. Si tratta di un fatto straordinario perché si colloca in un contesto generale fortemente orientato nella direzione delle privatizzazioni e delle dismissioni di fondamentali servizi. Anche simbolicamente, l’approvazione della legge è avvenuta il 16 marzo scorso, ovvero lo stesso giorno in cui il presidente del consiglio Matteo Renzi ha incontrato la cancelliera tedesca Angela Merkel, rassicurandola circa l’impegno dell’Italia sul Fiscal Compact e sul mantenimento del vincolo di bilancio del 3 per cento (due pilastri delle politiche di privatizzazione) e si colloca in un quadro locale e nazionale dove il varo del cosiddetto Salva-Roma, in discussione alla Camera, rischia di costituire un attacco frontale all’autonomia decisionale del Comune di Roma ed allude, anch’esso, alla riproposizione delle ricette draconiane di austerità.

La vicenda della nuova legge sull’acqua ha un segno politico e culturale totalmente diverso, è il portato di un lungo processo di accumulazione che, in questi anni, si è sedimentato in molti territori, con il coinvolgimento diretto delle comunità locali e l’intreccio stretto tra le esperienze dei comitati, il lavoro di numerosi Comuni e l’impegno di alcune forze politiche. Questo processo di democrazia diffusa ha incontrato nella rappresentanza istituzionale della Regione Lazio un interlocutore attento e leale.

Siamo in presenza di un testo di legge che richiama l’esito referendario, a partire dalla definizione di servizio idrico come servizio di interesse generale da gestire senza finalità di lucro e dalla previsione di stanziamenti appositi per incoraggiare la ripubblicizzazione delle gestioni in essere. Una legge che finalmente rimette al centro le comunità locali, delineando gli ambiti territoriali ottimali sulla base dei bacini idrografici e dando la possibilità ai comuni di organizzarsi in consorzi e di affidare il servizio anche ad enti di diritto pubblico, sulla base di un preciso bilancio idrico che dovrà assicurare l’equilibrio tra prelievi e capacità naturale di ricostituzione del patrimonio idrico.

Si tratta di un risultato ottenuto anche grazie ad una modalità di governo, capace di costruire risposte, facendosi anche carico delle domande di partecipazione e delle pratiche di conflitto che attraversano i diversi territori.

Già il Piano per l’emergenza abitativa aveva rappresentato un provvedimento importante su una delle questioni di maggiore sofferenza nell’area metropolitana di Roma, costruito attraverso un percorso di condivisione e di cooperazione tra movimenti per il diritto all’abitare e la Giunta Zingaretti, ora la prima legge in Italia per la gestione pubblica e partecipata dell’acqua. Se a questo si aggiunge la legge contro la violenza sulle donne che prevede un forte potenziamento dei servizi per le vittime ed il bando “Torno subito” ( vale a dire il finanziamento di progetti di studio, di formazione o di lavoro in ogni parte del mondo a patto che le conoscenze acquisite tornino a disposizione delle comunità di provenienza, in una regione dove cresce il numero degli under 30 che hanno rinunciato persino a trovare un lavoro) si configura l’intelaiatura di un’azione di governo che, seppur costretta a fare i conti con la pesante eredità del passato e con le ricadute locali della politica di austerità, vive come laboratorio di un riformismo radicale, capace di misurarsi pragmaticamente con la crisi e con i suoi drammi, senza smarrire una tensione generale al cambiamento.

Nel tempo delle larghe intese, delle politiche di austerità e della cosiddetta mancanza di alternative, alla Regione Lazio si parla un’altra lingua.

*coordinatore Sel Lazio