È in parlamento da trent’anni, ha un piede tra le vecchie glorie, eppure gli riesce ancora di rendersi indispensabile. Pier Ferdinando Casini guida un gruppo di appena dieci senatori (in diminuzione), ma quando Berlusconi cerca di darsi un futuro è a lui che lancia appelli. Intanto Casini parla con Renzi. E a Renzi offre i suoi tributi, ieri il sacrificio del senatore Mario Mauro, avversario di quella riforma costituzionale che il governo spinge e dunque spinto fuori dalla commissione affari costituzionali. Mauro, che con Casini aveva rotto nel momento stesso in cui con lui guidavano la scissione dai montiani, è stato messo in condizione di non nuocere. Prima il suo «no» poteva risultare decisivo per bloccare la riforma Renzi-Boschi in commissione. Ora resta solo il voto contrario del senatore di minoranza Pd Mineo a far pendere l’equilibrio in favore di chi insiste per mantenere l’elezione diretta del (nuovo) senato. Sempre che Berlusconi non decida di ripensare il ripensamento e torni ad aiutare il presidente del Consiglio. In quel caso per il governo non ci sarebbero più problemi e la cacciata di Mauro risulterebbe persino inutile. Una pesante caduta di stile che magari sarà ricordata solo come prova della determinazione del premier, e della disponibilità di Casini.

Mauro, sostituito in commissione dopo un duro faccia a faccia con Casini e un voto del gruppo «Popolari per l’Italia», ha gridato a tutto quello che poteva gridare. Dall’epurazione alla «manina» del premier; «ma io non sono il Dudù di Renzi», ha detto pure, suggerendo che qualcun altro magari sì. Al posto dell’ex ministro della difesa – ex berlusconiano e ancora ciellino – andrà il capogruppo dei «popolari» Lucio Romano, capo però di un gruppo che senza Mauro e magari uno o due «mauriani», rischierebbe di scomparire. Perdendo anche il posto in commissione. Se Renzi ha ordinato lo sgangherato blitz anti Mauro (di certo lo ha gradito), potrebbe avere interesse ad analoga sostituzione tra i democratici. Dove Corradino Mineo – «civatiano», sostenitore degli emendamenti ricavati dalla proposta Chiti che incontrano il favore di un buon numero di senatori Pd e non solo – è l’unico non omogeneo ai desideri renziani. L’espulsione del dissidente è però un’operazione assai poco estetica che è meglio lasciar fare ad altri. Tanto più che se Berlusconi torna quello del «patto del Nazzareno» allora i voti dei cinque commissari di Forza Italia chiudono la partita. Senza, invece, i sostenitori dell’elezione indiretta (ma non nella versione italica del «modello francese») sarebbero sotto in commissione, 14 a 15. Sono però ragionamenti che vanno affidati all’umore di un senatore del Gal.

L’accantonamento di un Mauro – inconsolabile, dicono, da quando ha dovuto lasciare la Difesa – non compenserà mai i voti di tutta Forza Italia. È per questo che la ministra delle riforme Boschi prima giura che «l’accordo è vicino» poi spiega che «manca solo l’accordo», che però «arriverà nei prossimi giorni». Ieri intanto era il 10 giugno, il secondo ultimatum che Renzi si era dato da solo per approvare la riforma-cancellazione del senato in prima lettura. I lavori sono ancora fermi in commissione, cioè girano attorno alla montagna dei cinquemila emendamenti in attesa che venga fatta sparire. Anche la presidente Finocchiaro, ha sostenuto ieri un senatore grillino, potrebbe essere rimossa e cioè promossa a giudice costituzionale. Le camere in effetti si riuniscono da domani in seduta comune. Ma Anna Finocchiaro non ha fin qui offerto argomenti ai renziani che pure non la amano, al contrario ha tenuto viva la proposta del governo malgrado sia in minoranza in commissione. La ministra che non si preoccupa di distinguere troppo tra il potere esecutivo e la revisione costituzionale annuncia ancora che «il senato non elettivo non si discute». I commissari della affari costituzionali devono adeguarsi, o possono sostituirsi. Non bastasse il governo potrebbe persino chiedere di saltare direttamente in aula, dove però i contrari del Pd non sono pochi e potrebbero riuscire a far crollare tutto. L’unica assicurazione per Renzi resta Berlusconi, convincere Berlusconi. E gli incoraggiamenti non mancano. Il presidente della Repubblica non manca di essere esplicito: «Riforme e cambiamenti istituzionali sono indispensabili», ha detto ieri. Sono «nell’interesse generale del paese», ha aggiunto Napolitano, come lo è «il temporaneo prolungamento del mio mandato». Il legame tra le attese riforme e le annunciate dimissioni è tutto qui.