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«Il Rif chiede riforme, vogliamo vivere qui senza il bisogno di emigrare»

«Il Rif chiede riforme, vogliamo vivere qui senza il bisogno di emigrare»Manifestazione di protesta nel Rif marocchino

Marocco Intervista a un attivista politico della regione marocchina, in piazza da due anni: «Il governo promuove un’immagine falsata della realtà. Parla di democrazia e diritti umani, ma noi sappiamo che è pura astrazione»

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 5 agosto 2018

Pene altissime, tra i 15 e i 20 anni di prigione, per aver manifestato pacificamente contro la situazione di oppressione socio-economica che interessa il Rif, regione al nord-est del Marocco, che per motivi legati anche al passato coloniale è sempre rimasta esclusa dalle politiche di sviluppo del governo centrale.

È del 26 giugno la sentenza contro i leader di Hirak al-Shaabi (Movimento Popolare), nato a fine 2016; pochi giorni fa si sono rifiutati di chiedere l’amnistia al re preferendo presentare appello. Due settimane prima in migliaia erano scesi in piazza per chiederne la liberazione.

«La situazione è molto triste e deprimente qua nel Rif, non è possibile assolutamente manifestare ed esprimere alcun tipo di dissenso. Al Hoceima, la città principale della regione, e tutta l’area circostante sono militarizzate», ci spiega Mohammed (nome di fantasia), attivista politico che da anni si batte per un cambiamento nella regione.

Qual è la situazione nel Rif dopo la sentenza del 26 giugno?

La situazione è molto complessa. La gente ha perso la fede e la speranza nello Stato e nelle autorità. La popolazione riffiana stava aspettando che i manifestanti venissero liberati, dopo che sono anche stati torturati brutalmente. Ma tutte queste speranze sono state tradite e gli attivisti che pacificamente sono scesi a manifestare contro una situazione che ci vede emarginati da decenni sono stati processati. La sentenza del 26 giugno è una sentenza politica, hanno voluto far vedere fin dove possono arrivare.

Per motivi legati anche al passato coloniale, il Rif è sempre rimasto marginalizzato. Qual è la situazione oggi?

Sì, effettivamente la nostra regione è sempre rimasta esclusa dallo sviluppo del paese, sin dall’indipendenza del 1956. Conosciamo la repressione da quando il Marocco esiste, nel ‘58-‘59 la gente che protestava contro il governo centrale è stata brutalmente repressa. Chi ha governato il Marocco ha sempre cercato di lasciarci isolati. Potremmo dire che il popolo vive della grazia di dio: non c’è nulla di cui vivere e non ci sono fonti di reddito stabili. La pesca era forse l’attività principale, ma ora sta iniziando a mancare sempre più. L’inizio delle ultime rivolte è legato proprio alla pesca: dopo che il venditore ambulante di pesce Mouhcine Fikri è stato triturato da un camion della spazzatura mentre cercava di recuperare il pesce che gli era stato sequestrato dalla polizia, sono iniziate le manifestazioni. C’è moltissima corruzione e quasi tutta la popolazione vive degli aiuti che arrivano dai familiari che vivono in Europa.

Dopo la morte di Mouhcine Fikri nell’ottobre 2016 è nato Hirak al-Shaabi. Da chi è formato questo movimento?

Il movimento non è legato a nessuna associazione e nessun partito, è completamente auto-organizzato. Non ci sono leader. Chiaramente come in tutti i casi qualcuno emerge come figura centrale, ma non ci sono gerarchie politiche stabilite. Le richieste sono semplici: riforme economiche e sociali, vogliamo vivere felici qui senza il bisogno di emigrare. Una della caratteristiche di Hirak al-Shaabi è che si oppone a tutti i partiti tradizionali, a servizio della parte ricca della popolazione. Dopo un anno di manifestazioni lo Stato ha usato la violenza contro questa forza popolare. Non solo: nel Rif e in altre parti del Marocco la gente sta boicottando le grandi multinazionali (Danone, Total) in segno di protesta.

In Europa potremmo dire che il Marocco non viene considerato un paese a rischio. Per quale motivo?

Chi sta governando è molto scaltro: attraverso le relazioni estere politiche ed economiche con gli Stati occidentali, riesce a promuovere e creare un’immagine totalmente falsata della realtà politica e sociale marocchina. Qui paradossalmente si parla di democratizzazione, diritti umani, ma noi che viviamo tutti i giorni questa situazione sappiamo che tutti questi concetti sono pura astrazione. La situazione reale della popolazione del paese e del Rif è totalmente diversa rispetto a ciò che si percepisce all’esterno. In nessun paese democratico sarebbe immaginabile quello che sta succedendo: centinaia di arresti solo per il fatto di essere scesi in strada a manifestare in maniera totalmente pacifica e non violenta. Da quel momento le città nel Rif sono completamente militarizzate, ci sono spie e noi dobbiamo stare sempre attenti con chi parliamo e cosa facciamo.

Viviamo in una dittatura «travestita» da democrazia. Le potenze occidentali, in particolare Francia e Stati uniti, conoscono benissimo la nostra situazione ma per ragioni strategiche non dicono nulla. Alcuni partiti e politici europei si stanno interessando al nostro problema, come ad esempio Podemos in Spagna. E credo che questa possa essere una possibile via d’uscita: dobbiamo far conoscere la nostra situazione attraverso alleanze con alcune forze politiche per far sì che qualcosa possa veramente cambiare.

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