Un grande interrogativo attraversa il Venezuela: come reagirà il governo al rientro nel paese di Juan Guaidó, giunto ieri all’aeroporto di Caracas sicuro e rilassato?

L’autoproclamatosi presidente ad interim aveva oltrepassato la frontiera il 22 febbraio, per prendere parte al concerto organizzato dal miliardario britannico Richard Branson, disobbedendo al divieto di lasciare il paese emesso dal Tribunale supremo di giustizia. L’imbarazzante fallimento dell’operazione degli aiuti umanitari e il mancato accordo tra i paesi del Gruppo di Lima su un possibile intervento militare – apertamente invocato da Guaidó per uscire dalla sua scomoda posizione di presidente fantasma – non gli hanno lasciato altra scelta che sfidare la giustizia venezuelana.

E COSÌ, DOPO IL TOUR promozionale in diversi paesi latinoamericani (Brasile, Paraguay, Argentina, Ecuador), sotto l’attenta regia di Kimberly Breier, sottosegretaria di stato Usa per gli affari dell’emisfero occidentale, il presidente fantoccio ha fatto ritorno a casa, allo scopo di «continuare a lavorare per la nostra road map e rafforzare la pressione interna che ci permetterà di liberare la nostra patria».

Ma se per Guaidó si è trattato di un passo obbligato – un prolungato esilio in Colombia avrebbe finito per condannarlo in breve tempo all’irrilevanza politica -, per il governo Maduro si apre ora un dilemma di non facile soluzione: procedere all’arresto o lasciarlo ancora libero di girare per il paese? Le controindicazioni, in entrambi i casi, sono pesanti. Se il mancato arresto di Guaidò potrebbe suonare come una pericolosa ammissione di debolezza istituzionale e di impotenza politica, un via libera a ulteriori azioni illegali, la sua detenzione riporterebbe la tensione a livelli altissimi.

RISPONDENDO nei giorni scorsi alle domande dei giornalisti, il viceministro della Comunicazione e dell’informazione William Castillo lo aveva già spiegato in maniera chiara: «In nome della pace sono state fatte concessioni politiche a cui nessun governo, in altre circostanze, cederebbe mai. Tuttavia, esistono limiti che non possono essere oltrepassati».

Per il momento, in ogni caso, la vicepresidente Delcy Rodríguez si è limitata a dichiarare all’emittente RT che il comportamento di Guaidó «sarà attentamente analizzato dalle istituzioni dello Stato» e che «verranno prese le misure più appropriate». Il governo, ha aggiunto, «possiede istituzioni solide e sostenibili», che di certo continueranno a preservare lo Stato di diritto».

E che il governo si prepari ad affrontare un altro possibile casus belli lo confermano le dichiarazioni dei paesi ostili a Maduro, a cominciare naturalmente dagli Stati uniti, i quali hanno evocato «serie conseguenze» nel caso di un eventuale arresto di Guaidó.

«Qualsiasi minaccia, violenza o intimidazione contro di lui non sarà tollerata e avrà una risposta rapida», ha twittato il vicepresidente Usa Mike Pence. Un avvertimento che fa seguito alle dichiarazioni del consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton riguardo alla creazione di una coalizione «più ampia possibile» per rovesciare il governo legittimo. «Stiamo tentando di ottenere appoggio per il trasferimento pacifico di potere da Maduro a Guaidó, che riconosciamo come presidente ad interim», ha detto in un’intervista alla Cnn.

E NON È STATA DA MENO l’Alta rappresentante Ue per gli affari esteri Federica Mogherini, secondo cui «qualunque misura che possa mettere a rischio la libertà, la sicurezza o l’integrità personale di Juan Guaidó darebbe il via a un’escalation di tensione e meriterebbe la ferma condanna della comunità internazionale».