A metà mattina il reggente Vito Crimi, prima ancora delle voci che Giuseppe Conte lascia trapelare da palazzo Chigi, dice che se le ministre di Italia Viva dovessero dimettersi impossibile pensare di sedersi ancora al tavolo coi renziani. Si capisce che qualcosa è cambiato, e nel giro di poche ore, nel M5S.
Dopo giorni passati a tenere basso profilo, quasi negando la portata della crisi, i grillini improvvisamente alzano i toni ed erigono una barricata attorno a questo governo. Fino a lunedì sera, i paletti erano stati fissati attorno alla figura del presidente del consiglio: da Conte non si doveva prescindere, sul resto si poteva parlare.

«Se ora, nelle condizioni in cui siamo, qualcuno si chiama fuori e saluta la compagnia, per noi è fuori e resta fuori definitivamente», è la sentenza di Crimi che annuncia il cambi di passo. Si fa vivo anche il prudentissimo Luigi Di Maio, che nei giorni scorsi aveva ostentato la normalità dell’azione ministeriale e rifiutato di drammatizzare una situazione che si faceva sempre più stringente. «Io sono stato all’opposizione per cinque anni e per cinque anni mi son sentito dire da una serie di forze politiche o di personaggi politici: ‘Dovete essere più responsabili’. Adesso il partito della responsabilità, la forza politica che sta garantendo la stabilità a questo paese siamo noi», dice adesso il ministro degli esteri.

Ma gli altri ministri grillini, anche quelli considerati vicini a Di Maio, usano gli stessi toni di Crimi. «Abbiamo un’enorme responsabilità e non potremmo più condividere alcun percorso politico con chi dovesse scegliere di sottrarsi ad essa», dice ad esempio il sottosegretario alla presidenza del consiglio Riccardo Fraccaro. Lo seguono, e con posizioni fotocopia, il capodelegazione Alfonso Bonafede e il ministro dello sviluppo economico Stefano Patuanelli e poi, a ruota, numerosi parlamentari. Quanto basta per segnare un’inversione di tendenza e per smentire, in parte, le assemblee degli eletti alla camera e al senato che poco più di una settimana fa avevano chiesto senza giri di parole che si arrivasse ad una mediazione. La stessa che appena due giorni fa i maggiorenti grillini in qualche modo auspicavano, arrivando persino a sfogliare la rosa dei ministri sostituibili e arrivando a cimentarsi con la spinosa possibilità che, dopo un possibile rimpasto, un ministero andasse a Maria Elena Boschi.

Quella possibilità evapora nel giro di una notte, quella tra lunedì e martedì, nel corso della quale il capodelegazione e il capo politico hanno riallineato le loro prospettive. Per questo sembra prevalere quella che per brevità viene chiamata «linea Grillo-Travaglio» ma che asseconda le volontà di Conte. La cosa sorprendente è tutto ciò ha messo insieme gli «ortodossi» e i «governisti». I primi, come dimostra l’uscita per una volta in linea con Crimi di Alessandro Di Battista, annusano l’odore della battaglia da condurre contro Renzi, considerato quintessenza della Casta. I secondi, pensano di utilizzare questa crisi per ancorarsi ancora di più al Pd, a maggior ragione se si dovesse davvero scivolare verso elezioni.