Come Antonio Gramsci, anche Guido Picelli credeva in una sinistra coraggiosa, democratica, antidogmatica e aveva un’estrema fiducia nella capacità di riscatto e liberazione dell’uomo. Ma il suo sogno svanì quando vide affermarsi un’altra sinistra italiana: pavida, dogmatica e opportunista.

A far cadere nell’oblio la memoria delle sue azioni e delle sue idee, che sono ancora oggi di una grande attualità, fu una pallottola senza nome. Sul fronte di Siguenza della Guerra di Spagna, Il 5 gennaio del 1937, un colpo alle spalle fermò per sempre la “leggenda” del proletariato, l’uomo d’azione della sinistra di cui il fascismo aveva paura, l’antifascista che “terrorizzava” Mussolini, ma che era troppo ribelle per Stalin.

“Il Ribelle. Guido Picelli una vita da Rivoluzionario” di Giancarlo Bocchi (IMP editore, libro e dvd del film a 22 euro, distribuiti da NDA) racconta per la prima volta in maniera completa l’avventura umana e politica di Guido Picelli, da quelle più battagliere a quelle confidenziali, cucite da un unico filo rosso fatto di coraggio, amore per la verità e per la giustizia sociale. Una storia fino ad ora nascosta, una vera e propria riscoperta di azioni, scritti e documenti degli archivi riservati sovietici, spagnoli e italiani, attuali anche ai nostri giorni.

“Come la luce e l’aria, le idee di libertà e di uguaglianza penetrano ovunque e nessuna forza può contenerle”, scrive Guido Picelli nel 1922 dopo aver abbandonato il teatro per scenari più grandiosi nel cuore pulsante della storia. Dopo 1919 gli bastano pochi anni, e più di un’impresa memorabile da sindacalista unitario, da fondatore delle Guardie rosse, da deputato tirato fuori di galera con un plebiscito popolare, per indossare le vesti dell’eroe popolare, nobile, audace e beffardo.

È Picelli nel 1922 a guidare a Parma poche centinaia di suoi Arditi del popolo, uomini male armati, comunisti, popolari, anarchici, repubblicani e socialisti, che si oppongo per sei giorni a oltre diecimila fascisti guidati da Italo Balbo, che preoccupato scrive nel suo diario: «Se Picelli dovesse vincere, i sovversivi di tutta Italia rialzerebbero la testa…». E la “Battaglia di Parma” si risolve in una disfatta clamorosa per i fascisti che lasciano sul campo trentanove morti e centocinquanta feriti. E’ la prima vittoria militare del fronte antifascista in Europa, ma l’idea del “Fronte unico”, che unisce per la prima volta anarchici, socialisti, comunisti, popolari, repubblicani, e determina la vittoria di Parma, viene osteggiata dai leader dei partiti della sinistra. “Noi siamo una forza immensa, ma sbandata, organizzata e disciplinata diventerebbe così potente da distruggere non una ma mille volte il fascismo…” scrive Picelli.  Dalle pagine del suo giornale “L’ardito del Popolo”, il primo di ottobre 1922, lancia un appello profetico, che rimarrà inascoltato, per la costituzione dell’“Esercito rosso”, un “fronte unico”, che insorga e combatta per la libertà.

Termini come Etica, Solidarietà, Unità, Democrazia, Coerenza, oggi abusati per giustificare ogni sorta di opportunismo, ritrovano nel romanzo della vita di Picelli il loro significato più autentico.

Dopo la “marcia su Roma” è lui ha lottare con tutte le sue forze per convincere i partiti democratici all’insurrezione militare contro il fascismo. È lui a inalberare, il 1° maggio del  ’24, un enorme drappo rosso sul parlamento per ridicolizzare Mussolini. È lui che su indicazioni di Gramsci cerca segretamente di costruire una struttura insurrezionale clandestina sfuggendo ai numerosi agguati mortali fascisti. E’ lui l’uomo temuto che il regime fascista perseguita, spia (come documentato da un rapporto della polizia segreta pubblicato qui a fianco) e tenta più volte di far fuori. È Picelli che dopo cinque anni di galera e di confino, giunto in URSS viene emarginato, perseguitato dagli stalinisti. Scampato alla deportazione, giunge in Spagna, dove al comando del Battaglione Garibaldi ottiene a Mirabueno la prima e importante vittoria repubblicana sul fronte di Madrid. Ma dopo soli cinque giorni viene ucciso con un colpo alle spalle mentre si appresta ad attaccare le postazioni fortificate franchiste sullo sperone del S. Cristobal nei pressi di Siguenza.

E’ anche l’unico italiano che ebbe nel 1937 tre imponenti funerali di Stato, a Madrid, Valencia, Barcellona. Ma quando ad un anno dalla morte, alti ufficiali delle Brigate internazionali di Spagna proposero di conferire alla sua memoria l’Ordine di Lenin, la più alta onorificenza sovietica, i funzionari comunisti italiani – come viene documentato ne “Il Ribelle” con documenti segreti degli archivi sovietici – stilarono un rapporto segreto per il Comintern, sui contatti tra Picelli e gli antistalinisti del Poum che di fatto bloccò il riconoscimento. Non sarà nemmeno quest’ultimo tradimento a cancellare dalla storia dell’antifascismo la figura del grande rivoluzionario.

“Il Ribelle” è infatti  un film con le voci di Valerio Mastandrea e Francesco Pannofino e un libro, una sorprendente biografia composta di lettere, manifesti, articoli, foto e documenti inediti del “Che Guevara italiano”, del comunista democratico che combatté il fascismo e quella la sinistra dei “piccoli uomini che tengono divise le masse in nome dei loro interessi personali”.