Dopo un week end di fibrillazioni da interviste aperturiste verso il Pdl – quella di Dario Franceschini e persino del fedelissimo Roberto Speranza, neopresidente dei deputati, e infine quella, poi smentita di Rosy Bindi – trascorso nella sua Piacenza, oggi Pier Luigi Bersani ha una prima occasione per verificare la compattezza dei suoi sulla linea del «no al governissimo», ribadita ieri in una lettera a Repubblica. Alle 12 il leader riunirà i gruppi parlamentari. L’occasione è il completamento delle cariche (mancano i vicepresidenti, e i segretari d’aula). Ma il segretario indicherà ai suoi «il percorso» che porta alla proposta della rosa di nomi per la futura presidenza della Repubblica. «Il nostro riferimento è la Costituzione», ha ribadito ieri sera ai suoi, insieme all’intenzione di scegliere nomi in grado di raccogliere «una larga convergenza e condivisione», ovvero almeno i due terzi del parlamento.

Ma quella di stamattina sarà l’occasione di qualche chiarimento interno. Le interviste che hanno ribadito la necessità di una «collaborazione con il Pdl», stante il «no al governissmo», sono la spia di uno sbandamento delle file anche dei bersaniani. I fedelissimi ne hanno pubblicamente dato interpretazioni buoniste, ma non è improbabile qualche scintilla fra gli ultrà del governo Bersani (o voto) e i favorevoli ad un dialogo con il Pdl anche per il governo. Anche perché alla disponibilità di Berlusconi, pochi credono. Non a caso ieri il portavoce di Bersani Stefano Di Traglia ha digitato un tweet che la dice lunga sulla fiducia nelle parole dei berluscones: «Curiosi quelli del Pdl. Insultano Bersani tutti i giorni, ma lo vogliono premier di un governissimo».
In realtà ieri sera Berlusconi ha detto sì all’invito ad un faccia a faccia. Rovesciando la frittata: «Finalmente Bersani si è aperto, si è reso disponibile a un incontro». La data non c’è, potrebbe essere fra giovedì e venerdì. Ma al Nazareno sono tutti cauti. Incontri con ambasciatori Pdl, si fa notare, sono inutili: tanto lui è in grado di smentirli a stretto giro di posta. Così è successo nel corso delle consultazioni per Palazzo Chigi: Alfano, Brunetta e Maroni, in delegazione, avevano espresso una disponibilità di massima che Berlusconi ha spazzato via nel giro di poche ore. La proposta resta la stessa: la presidenza della convenzione per le riforme. Come la stessa è l’indisponibilità a un Colle che «protegga» Berlusconi dalle tegole giudiziarie.
Più probabili gli incontri fra i capigruppo Pd (Speranza e Zanda) e le delegazioni degli altri partiti per un primo giro di confronto sul Quirinale. Il tentativo è individuare uno o due nomi che possano essere condivisi tanto dal Pdl che da Grillo, o almeno dai molti dei suoi parlamentari. Anche se l’iniziativa dell’occupazione della camera per far partire il lavoro delle commissioni allontana, e di parecchio, le possibilità di dialogo con M5S.
Sulla partita del governo, invece, Bersani tira dritto. Una volta eletto il capo dello Stato, è il ragionamento dei suoi, l’eventualità concreta di un ritorno anticipato alle urne lavorerà «oggettivamente» a favore del governo Bersani. La cui strada è accidentata, ma sempre meno di un «governissimo» al quale personalmente Bersani è indisponibile. «Chi lo vuole deve venire in direzione, dichiararlo, e poi sottoporre la sua proposta al voto», ha spiegato. Bersani è sicuro di avere ancora la maggioranza dei suoi. E degli elettori del centrosinistra: anche perché un governo Pd-Pdl si arenerebbe al primo provvedimento, anche sulle urgenze del paese. stessa: la presidenza della convenzione

Ma le pressioni sono molte. E una è altissima: quella del presidente Napolitano. Ieri, alla commemorazione del ventennale della morte di Gerardo Chiaromonte, Napolitano non si è fatto sfuggire l’occasione di un paragone eloquente, elogiando l’impegno del dirigente comunista «al fianco di Berlinguer nella scelta e nella gestione di una collaborazione di governo con la Dc dopo decenni di netta opposizione». «Nel ’76 ci volle coraggio per scelta larghe intese, per quella scelta di inedita larga intesa e solidarietà, imposta da minacce e da prove che per l’Italia si chiamavano inflazione e situazione finanziaria fuori controllo e aggressione terroristica allo Stato democratico come degenerazione ultima dell’estremismo demagogico». Oggi, per Napolitano, le condizioni sono le stesse, a parte il terrorismo. Quindi Pd e Pdl al posto, rispettivamente, di Dc e Pci. Paragone ardito, per uno dei protagonisti di quegli anni. Fuori gioco la collaborazione con M5S, verso cui il presidente è durissimo: «Certe campagne che si vorrebbero moralizzatrici in realtà si rivelano, nel loro fanatismo, negatrici e distruttive della politica».