Una nuova frontiera di pace per il reverendo Jesse Jackson. L’attivista americano per i diritti civili si è proposto come mediatore nelle trattative tra governo colombiano e guerriglia marxista, in corso all’Avana dal novembre 2012. Dopo aver contribuito alla liberazione di altri suoi concittadini in Jugoslavia, in Siria e in Iraq, ora vorrebbe riportare a casa il militare Kevin Scott, da tre mesi nelle mani delle Forze armate rivoluzionarie colombiane (Farc). Le Farc glielo hanno chiesto a Cuba, dove il reverendo ha denunciato «l’embargo economico, politico e commerciale lungo mezzo secolo» messo in atto da Washington contro la piccola isola, e ha invitato la chiesa a rifiutare il bloqueo per «costruire un ponte» fra i due paesi. «Abbiamo chiesto a Jesse Jackson di mettere a disposizione la sua esperienza e la sua integrità per accelerare la liberazione di Kevin Scott», hanno detto le Farc. La loro intenzione è di liberare il militare senza contropartite, però chiedono che tutto avvenga senza spargimenti di sangue, dunque in un «corridoio smilitarizzato» e con alcune figure di garanzia: il reverendo e il direttore del settimanale Voz del Partido comunista colombiano, Carlos Lozano Guillén.
Il presidente colombiano, Manuel Santos, ha però rifiutato i due, ritenendo legittimata a intervenire solo la Croce rossa: «Non permetteremo spettacoli mediatici», ha scritto in twitter . Il Comitato internazionale della Croce rossa (Cicr) ha dato la propria disponibilità, ma a condizione che «le due parti trovino un accordo». Le Farc hanno rilanciato la loro richiesta: «Invitiamo il presidente Santos a riflettere – hanno scritto – , a non prolungare ingiustamente la permanenza di Kevin nella selva e a definire con il Cicr il protocollo di sicurezza richiesto in questi casi». E il reverendo ha ribadito che si recherà comunque in Colombia questa settimana «per recuperare Kevin Scott».
Intanto, è cominciato nella capitale colombiana Bogotà il VI Congresso nazionale di riconciliazione, organizzato dalla Conferenza episcopale. Fino a domani, oltre 500 rappresentanti di diocesi, parrocchie e comunità ecclesiastiche di base discuteranno principalmente di due punti: il processo di pace tra il governo e le Farc e il possibile inizio di trattative con la seconda guerriglia del paese, l’Esercito di liberazione nazionale (Eln). Giovedì inizierà nella capitale cubana il 15° ciclo dei colloqui tra governo e Farc, che ha preso avvio l’8 ottobre a Oslo con la mediazione della Norvegia e del Venezuela, e poi è continuato, da novembre, all’Avana. Sul tavolo, un’agenda tematica in sei punti per trovare una soluzione politica a un conflitto armato che dura da cinquant’anni e che ha provocato oltre 300.000 morti. Un’agenda messa a tema dopo ampie consultazioni popolari nel paese. Al primo punto «lo sviluppo agrario integrale», e poi la partecipazione della società nel processo, il superamento della crisi umanitaria, il rientro della guerriglia nella vita politica, e la «riparazione integrale» delle vittime. In questi mesi, diverse categorie sociali, che protestano contro le misure neoliberiste imposte dal governo, hanno ripreso alcuni dei temi in agenda e appoggiato il processo di pace.
Domenica, è intervenuto anche il presidente dell’Uruguay, l’ex guerrigliero tupamaro José Mujica, proponendosi come mediatore tra Santos e l’Eln, e dichiarando la propria disponibilità ad accogliere eventualmente i guerriglieri: «Vale la pena volgere in politica quel che prima era guerra – ha detto – perché quando un conflitto dura così tanto, si trasforma in una ferita cronica».