I fotografi del Paris Match, negli anni Cinquanta, giravano con auto sportive, belle ragazze e portavano tutti degli impermeabili inglesi. Li riconoscevi dall’aspetto e poi dagli scatti: famiglie reali, star del cinema, matrimoni importanti. Erano abili, «non usavano mai il flash» e, soprattutto, disponendo di molti più soldi erano generosi con i colleghi che percorrevano le strade di Parigi, magari con le tasche vuote.

Quelli che, come Mario Dondero, affondavano l’obiettivo fra le pieghe di un’altra realtà. E lui, se proprio deve scegliere fra i reporter, indica come simbolo Robert Capa, ma anche Gerda Taro, la compagna che perse la vita in Spagna. Lui con quel nome per assonanza con Frank Capra, lei con Greta Garbo. Ed è senz’altro l’Ungheria la patria del fotogiornalismo che fece storia. Solo dopo, arrivò New York che, con la guerra in Vietnam, cambiò il rapporto fra stampa e istituzioni militari.

Lo scatto umano, il libro di Mario Dondero scritto con Emanuele Giordana che ne ha raccolto le testimonianze sparse, uscito per Laterza (pp. 140, euro 18), è una piacevolissima passeggiata in cui si sensi vengono sedotti dal paesaggio costruito dalle parole in libertà del grande reporter che, a modo suo, racconta – spesso con esperienze vissute in prima persona – l’avventura di un’arte engagée come quella del fotogiornalismo. E così, all’inizio, incontriamo al Jamaica bar di Milano, altri appassionati del genere «caldo», come Berengo Gardin, Uliano Lucas, Alfa Castaldi. Poi proseguiamo per le vie della Ville Lumière, si parte per lunghi viaggi europei e infine planetari, si finisce in mezzo a conflitti destabilizzanti, fra gli schiavi del Senegal, gli algerini dell’indipendenza, o meglio, ci si ritrova a spiare i volti degli scrittori del Nouveau Roman.

C’è anche tanta Italia ignorata, dove Mario Dondero ha immortalato persone e natura, in inquadrature divenute celebri (come L’uomo che voleva la luna di Accettura, in Lucania).

[do action=”citazione”]«A un fotografo, in questo paese chiedono di essere tecnico: come un bravo idraulico, un buon elettricista… Direi che in Italia c’è stata della fotografia un’idea ‘servile’: vieni qua a fotografare l’onorevole, l’impresario, l’attore…».[/do]

 

«A un fotografo, in questo paese chiedono di essere tecnico: come un bravo idraulico, un buon elettricista… Direi che in Italia c’è stata della fotografia un’idea ‘servile’: vieni qua a fotografare l’onorevole, l’impresario, l’attore…». Ma il reporter è proprio un’altra cosa: sta lì a raccontare ciò che accade per tutti, senza mistificazioni. Qualche volta, però, lo scatto si costruisce, è necessario farlo, svela Dondero. Come quel giorno in cui lo scrittore Sinjavskij (che era stato nei gulag) si presentò così trasandato che, per coprirlo, Mario diede un calcio a una scatola in modo da farla capitare davanti le orribili pantofole.