Persino le cifre del bilancio sono taroccate. Renzi adopera un doppio registro di comunicazione. Il primo, a uso interno, consiste in una fabbrica inesauribile di trasfigurazioni del reale, con il falso permanente sulle cose e sui poteri. Si avvale anche delle trovate del guru americano per coprire, con un supporto ipertecnologico che fa scena, le frottole date in pasto all’elettore distratto da annunci che dai media cadono a pioggia. Il codice espressivo di Renzi è una fuga precipitosa da ogni contenuto verificabile, l’oltraggio a qualsiasi argomentazione ponderata.
Quando si rivolge ai cittadini Renzi tende a imbrogliare le loro resistenze cognitive con significanti alterati, con strategie ingannevoli di seduzione come il ponte sullo stretto.
Quando invece parla ai padroni, ai finanzieri internazionali lo stile di Palazzo Chigi diventa non solo verosimile, ma fornisce una cruda rappresentazione del paese che recupera i significati, li propone in un perfetto stile realistico.

Il sito istituzionale del governo fornisce agli investitori il senso autentico di questo triennio di potere della rottamazione. Piegato il sindacato, spenta la rivolta sociale, ridotto il corpo di donna a organo da rendere fertile per la riproduzione della specie, Renzi offre ai signori del capitalismo il quadro dei rapporti di forza esistenti. «Benvenuti in Italia, il paese giusto per fare gli investimenti». Il paese è giusto non perché si caratterizzi con politiche pubbliche ispirate a qualche canone di giustizia, ma al contrario perché ha reciso, più di qualsiasi altra nazione, ogni memoria del principio di eguaglianza.
Dopo le fantastiche norme sul mercato del lavoro e la cancellazione dello Statuto terribile strappato nel 1970, «l’Italia offre un livello di salari competitivo e una forza lavoro altamente qualificata».
Il Renzi che parla in italiano, per racimolare qualche voto con i bonus, gioca la maschera del Masaniello che sfida l’austerità ordinata dalla cancelliera teutonica.
Il Renzi che si rivolge in inglese ai poteri che contano nei mercati ricorda loro il servizio reso alla gran causa del capitale: riduzione dei salari, soppressione delle norme del diritto del lavoro. «I costi del lavoro in Italia sono ben al di sotto dei competitor come Francia e Germania. Inoltre, la crescita del costo del lavoro è la più bassa rispetto a quelle registrate nell’Eurozona». Il governo si vanta di aver svalorizzato il lavoro, di aver tolto i diritti sindacali e di aver compresso al minimo i salari: un vero paradiso per il capitale.

Spiega trionfalmente il sito ministeriale: «Un ingegnere in Italia guadagna in media 38.500 euro, quando in altri Paesi europei lo stesso profilo ne guadagna mediamente 48.800». Dunque l’Italia si vanta della povertà sociale e del poco salario dei giovani più colti. Il fine è la valorizzazione del capitale, il lavoro e i giovani sono puri strumenti da spremere per dare il benvenuto alle imprese.
Si capisce che il voto giovanile fugga dal Pd come da una peste. E’ percepibile anzi l’odio che nella loro generazione scatenano i «ragazzi» da tre anni al potere. Le generazioni condannate alla precarietà, all’esclusione, alla fuga avvertono che, pur sapendone più di Madia, Picierno, Carbone, Rotta o Boschi, espressioni del ceto politico più pagato e incompetente d’Europa, sono relegate alla marginalità. I rottamatori, con il loro governo di classe, hanno rottamato solo i progetti vitali di una generazione e chiedono al capitale di essere riconoscente per la loro servizievole manovalanza che ha bonificato il mercato dal costo dei diritti.