Per avere veramente senso, il Rei – il Reddito di inclusione introdotto a fine agosto dal governo – deve raggiungere almeno tutti i cittadini in stato di povertà assoluta. Tutti. In Italia, secondo i dati Istat riferiti al 2016, sono 4,7 milioni di individui (1,6 milioni di famiglie): ieri l’Alleanza per la povertà, formata da associazioni e sindacati, ha chiesto che il Rei venga finanziato in modo tale da poter coprire tutti, visto che al momento, secondo i calcoli della stessa Alleanza, l’assegno può arrivare al massimo al 38% delle persone interessate. Già al momento del varo, d’altronde, lo stesso esecutivo aveva spiegato che il provvedimento avrebbe interessato intanto dalle 400 mila alle 500 mila famiglie, pari a circa un terzo dei nuclei più disagiati.

L’IMPORTO DELL’ASSEGNO è piuttosto basso – va dai 190 ai 485 euro mensili, a seconda dell’Isee e dei requisiti del richiedente – ma sancire che in Italia si possa prevedere un sussidio valido indistintamente per tutte le persone in stato di povertà assoluta (se andiamo a quella definita come «relativa» saliamo a 8,4 milioni di individui) sarebbe in qualche modo «rivoluzionario». Il Rei – va ricordato – può essere erogato massimo per 18 mesi, e per tornare a prenderlo si devono attendere altri sei mesi: nello stesso tempo, bisogna accettare di seguire un percorso di reinserimento al lavoro.

Ieri la denuncia dell’Alleanza sulle scarse coperture dedicate al Rei, e la richiesta avanzata al governo: «Il Rei – spiega l’associazione che riunisce soggetti come Caritas, Cgil, Cisl, Uil, la Conferenza delle Regioni – è destinato a raggiungere esclusivamente una minoranza di poveri, fornendo risposte inadeguate nell’importo dei contributi economici e da verificare nei percorsi d’inclusione sociale». A ricevere il Rei «saranno 1,8 milioni di individui, cioè il 38% della popolazione in povertà assoluta, contro il 62% che ne rimarrà escluso».

ANCORA, SPIEGA IL network di 35 organizzazioni, «il 41% dei minori in povertà assoluta non sarà raggiunto dalla misura». Di fatto – prosegue l’Alleanza – la misura dividerà i poveri in due gruppi: quelli che riceveranno il Rei e quelli che non lo riceveranno. «Tale discriminazione può essere compresa solo se temporanea e, quindi, da considerare come un primo passo nella prospettiva di un progressivo ampliamento dell’utenza». Da qui la proposta di adottare un Piano nazionale contro la povertà 2018-2020, con lo stanziamento di 5,1 miliardi in più rispetto a oggi. Oggi sono previsti infatti 1,7 miliardi di euro per il 2018, e 1,8 per il 2019: il totale necessario per i prossimi tre anni sarebbe di 7 miliardi.

L’Alleanza aggiunge anche un ragionamento sugli importi destinati ai beneficiari: per coprire tutta la distanza che c’è tra il reddito familiare e la soglia di povertà assoluta, l’ammontare medio mensile del Rei «dovrebbe essere di 396 euro: c’è quindi una lontananza significativa (di oltre 100 euro) tra l’importo necessario e quello attualmente previsto di 289 euro». Insomma, le risorse in più servono, eccome.

«PER RAGGIUNGERE i 5 milioni di poveri presenti in Italia occorrono 7 miliardi in un piano triennale – ha ribadito la segretaria confederale della Cisl, Giovanna Ventura – Il Rei può restituire dignità alle persone, e inoltre gli economisti e la Banca d’Italia sostengono che possa anche contribuire alla ripresa del Paese, fungendo da volano per i consumi e il Pil».

«Sarebbe come se a scuola o in ospedale si andasse solo fino a esaurimento posti. Se una cosa è per tutti allora è un diritto, altrimenti assomiglia a una mancia elettorale – dice Giovanni Paglia di Sinistra italiana – Il governo trovi i 5 miliardi che mancano: ai 4 bambini su 10 ancora esclusi non si può dire “aspetta il tuo turno”».

LA VEDE DIVERSAMENTE l’associazione di movimenti cattolici e laici riuniti in «Rete dei numeri pari», come spiega Giuseppe De Marzo di Libera: «Se si vuole davvero contrastare disuguaglianze e povertà, bisogna introdurre anche in Italia un reddito minimo garantito o di dignità, così come avviene già in tutti gli altri paesi europei. Ci vogliono circa 15 miliardi e i soldi possono facilmente essere trovati, perché ci sono. È solo questione di priorità».

La Rete dei numeri pari annuncia che si riunirà a Roma il prossimo 16 settembre «per promuovere insieme la più larga mobilitazione possibile per rimettere al centro la lotta contro le disuguaglianze, per i diritti e la giustizia sociale».