La tracimazione dei senatori dal gruppo di Forza Italia a quello ormai stabilmente in maggioranza di Verdini, il negoziato con la minoranza Pd che ha ridotto il dissenso interno da una trentina di senatori a due o tre sono cose che certamente aiutano. Ma probabilmente non sarebbero bastate al governo per far approvare la legge di revisione costituzionale entro il 13 ottobre, data sulla quale Renzi non transige. Ci voleva una grossa mano da parte del presidente del senato, quel Pietro Grasso con il quale nell’ultimo mese il presidente del Consiglio ha più volte cercato lo scontro istituzionale, lanciando avvertimenti e ultimatum. Evidentemente andati a segno, perché quella mano è arrivata. Anche più generosa del passato. Grasso ha consentito qualsiasi strappo al regolamento e ha seguito passo dopo passo il percorso tracciato dai tecnici di palazzo Chigi e di palazzo Madama per aggirare gli ostacoli alzati dalle opposizioni contro un governo che non accetta modifiche alla «sua» riforma costituzionale. Ieri sera, prima dell’ultima interpretazione del regolamento utile ad allontanare pericolose votazioni segrete dal cammino dell’articolo 2, il presidente del senato non si è fatto scrupolo di riunirsi a palazzo Madama con la ministra Boschi per studiare assieme le strategie d’aula.

E così la riscrittura di oltre un terzo della Costituzione procede spedita. Ieri è stato approvato l’articolo 1 che stabilisce la funzioni del senato, grazie alla riscoperta della tecnica dell’emendamento «killer». Grasso lo aveva già consentito all’inizio dell’anno sulla legge elettorale, allora reggeva ancora il «patto del Nazareno» e l’emendamento Esposito servì a piegare la minoranza Pd. Ieri l’emendamento Cociancich ha scansato il rischio di votazioni segrete. Il prodotto finale è un lungo testo di 30 righe in gran parte mai discusso né in aula né in commissione, e mai neanche difeso dalla maggioranza cui interessava solo votarlo prima di tutti gli altri emendamenti. Sarà il nuovo articolo 55 della Costituzione italiana che oggi è quello scritto da Costantino Mortati in due commi e cinque righe in tutto.

Così sono stati abbattuti emendamenti a pacchi e la tensione in aula ha continuato a salire per tutta la giornata, tra le polemiche per il sostegno dei «transfughi» e gli attacchi dei 5 Stelle al presidente. Che, impassibile, ha continuato a rispondere di no a ogni richiesta delle opposizione. La riforma della Costituzione ha preso così le forme già viste di un assedio della minoranza al fortino (sempre più largo) della maggioranza, tanto rumoroso quanto vano. Impossibile ogni discussione nel merito di modifiche importantissime, ma la responsabilità va divisa tra l’esecutivo che ha escluso ogni apertura reale e la guida dell’assemblea che ha dimostrato di saper tutelare solo gli interessi del governo. Introducendo, come se non bastasse, precedenti assai pericolosi. Sia il voto sull’emendamento Cociancich che quello sul complesso dell’articolo 1 hanno testimoniato il buon lavoro fatto da Verdini e dal sottosegretario Lotti: il governo è rimasto sempre sopra la soglia della maggioranza assoluta. E non è esatto dire che i voti degli ultimi arrivati sono solo «aggiuntivi», come si consola la minoranza Pd ricondotta all’ordine, visto che nel successivo passaggio servirà proprio la maggioranza assoluta per lanciare la riforma verso il referendum confermativo. Non ha torto Sel quando, anticipando uno slogan referendario, attacca «la Costituzione di Renzi e Verdini».

Anche perché non è affatto finita, nella prossima settimana dovranno arrivare altre forzature. Già ieri sera Grasso ha trovato il modo di affossare cinque voti segreti che aveva precedentemente dichiarato di voler accogliere. Sull’articolo 2 è ormai noto che la presidenza ha ammesso solo emendamenti al comma 5, ma tanto la senatrice De Petris di Sel quanto il leghista Candiani avevano trovato il modo di infilare in quel punto il ritorno all’elezione diretta dei senatori e anche il voto segreto. Gli emendamenti diventavano così assai pericolosi per la tenuta del governo. Ma Grasso si è messo di traverso con un’interpretazione ancora una volta spericolata del regolamento. Oggi si vota sull’articolo 2.
Il presidente del Consiglio può dunque far trapelare la sua grande tranquillità. Ma nel Pd manca ancora l’accordo su due punti: l’elezione del presidente della Repubblica e la norma transitoria (articolo 39) che affida ancora ai consiglieri regionali la scelta esclusiva dei senatori (con buona pace del recupero della «volontà dei cittadini»). Sul primo punto si è parlato di un possibile nuovo emendamento killer, sempre di Cociancich, ma la proposta in realtà è assai più impegnativa e introdurrebbe un sistema di candidature ufficiali per il Quirinale. Il governo è stato costretto a dissociarsi.