Anton Giulio Majano, ufficiale di cavalleria, non si riconosce affatto nei tipi fatui, leziosi, monocoluti, dalla divisa elegante e dalla testa vuota, che dominano la paraletteratura mondana. Grande affabulatore, non si stanca mai di rievocare gli aneddoti della guerra – in Africa era stato maggiore delle truppe coloniali e più tardi parteciperà alla Resistenza a capo di una brigata – e del cinema degli anni trenta-quaranta in cui aveva esordito.

Il suo maestro è Luis Trenker, il regista altoatesino che nel ’37 sul set di «Condottieri» rivela al giovane aiuto i segreti della macchina da presa. Quanto a «Noi vivi» e «Addio, Kira!», il film in due puntate che Goffredo Alessandrini firma nel ’42, Majano come sceneggiatore, autore dei dialoghi, collaboratore alla regia lo considera il suo primo teleromanzo in chiave mélo, dove i «compagni» diventano «camerati» e l’anticomunismo (viscerale) di Ayn Rand rischia di capovolgersi in antifascismo (strisciante).

Giornalista della carta stampata, nell’ultima fase del conflitto crea a Radio Bari il programma «L’Italia combatte» prima di essere catturato di nuovo dal cinema. Sceneggiatore di una ventina di film, negli anni cinquanta ne dirige una decina che l’autore di questa bella monografia sul «regista dei due mondi» rivisita in modo spericolato e partecipe

. Il migliore è forse «La domenica della buona gente», garbato esempio di neorealismo in tono minore tratto dal radiodramma pratoliniano di cui aveva curato la regia. Quando nel ’54 decolla la televisione italiana il genio massmediologico di Majano sente che è arrivato il suo momento. L’idea di rifare per la tv «Piccole donne» di Louise May Alcott a soli cinque anni dal film Mgm colpisce direttamente al cuore il pubblico soprattutto femminile che tira fuori i fazzoletti per commuoversi ancora una volta con Jo che si comporta come un maschiaccio (Lea Padovani), Amy che si mette una molletta sul naso per rimpicciolirlo (Vera Silenti), Meg che sogna l’amore (Emma Danieli), Beth, sensibile e masochista (Maresa Gallo).

Il trionfo apre la strada alla pioggia di titoli che negli anni seguenti mobilita tutti insieme appassionatamente i grandi narratori del passato per inventare il teleromanzo a puntate, il nuovo genere di spettacolo destinato a uno straordinario successo di cui il regista abruzzese è il padre indiscusso. Nella paleotelevisione sono proverbiali «L’isola del tesoro» con il maligno Silver John di Ivo Garrani che fa risuonare il ponte della nave con la sua gamba di legno, «Una tragedia americana»con l’allucinato Warner Bentivegna che si fa sedurre dalla maliziosa Giuliana Lojodice, «La cittadella» con il Dottor Alberto Lupo che, truccato da vecchio, rivive la sua vita in abili flashback, compreso l’incontro con la maestrina Anna Maria Guarnieri.

Appassionato di letteratura soprattutto anglosassone, non trascura lo scaffale italiano con vari sceneggiati tra cui il più celebre è «L’alfiere» da Carlo Aianello, inedita rivelazione di un Risorgimento raccontato dal punto di vista del Sud.

Ma non riesce a realizzare il sogno di portare sul piccolo schermo «I promessi sposi» per il quale aveva già in mente un cast stellare con Marcello Mastroianni/Renzo, Lucia Morlacchi/Lucia, Vittorio Gassman/l’Innominato, Salvo Randone/Fra Cristoforo, Renzo Ricci/Don Rodrigo, Gino Cervi/Don Abbondio, Ave Ninchi/Perpetua, Alberto Sordi/il Conte Attilio, Sophia Loren/la Monaca di Monza. (pp. 297, euro 20.00).