Veramente carini i parlamentari di questa temibile legistatura. Non si sa se per lasciare un buon «ricordo» di sé o perché travolti dall’ondata buonista e regalizia del natale, sono riusciti a restituire a Cesare, anzi a Luca (Barbareschi) quanto a furor di popolo (più che di coscienza) gli era stato «tolto»: quattro milioni di euro, mica bruscolini. Chissà quante caramelle e chupa chups si sarà leccato, la notte di natale, vestito come il buon Babbo con la barba (certo non da piccolo fiammiferaio) nella vigilia santa che rende tutti più buoni, sulla via Nazionale del suo teatro Eliseo. E saranno contenti come pasque, anzi come pastorelli del presepio, quei buoni terremotati cui con incoraggiamento nazionale erano stati destinati quegli stessi quattro milioni per un aiuto alla rinascita culturale.

 

 

 

La storia precedente la conoscono pure i sampietrini di via Nazionale, anche perché dal ministro Padoan pare fosse venuta la prima spinta al succulento regalo fuori da ogni regola: con una scusa pinocchiesca (celebrare il centenario, ma l’anno non era quello lì) del teatro romano, era stato approntato un emendamento al decreto milleproroghe, correntemente detto mille imbrogli, da un deputato Pd: due milioni per due anni. Qualche reazione popolare e giornalistica, fece trasformare il provvedimento, che invece di lasciare raddoppiò, ma con doppia firma bipartisan: una Pd e una Forza Italia.

 

 

Le reazioni si fecero un po’ più marcate, persone oneste con le compagnie teatrali prossime al fallimento e i teatri a cui non arrivavano più gli stipendi, trovarono alleato perfino il ministro competente, che si dichiarò all’oscuro di tutto. Cercando di salvare almeno la metà della faccia, il governo salomonicamente decise che metà del malloppo sarebbe rimasto a Barbareschi, l’altra metà sarebbe stata sacrificata alla promozione culturale delle zone noiosamente terremotate.
Non c’era da stare allegri, ma il richiamo della bontà funziona sempre, e le cose così si assestarono. Il problema si è ripresentato drammaticamente ora con la chiusura lesta lesta delle camere, che richiama certe discussioni con i portieri d’albergo. Causa ferie anticipate e settimane bianche (in tutti i sensi) conquistate dal Parlamento, e quindi senza la scappatoia del mille proroghe, ha preso in mano la situazione una politica di lungo corso. L’onorevole Prestigiacomo non ha mai avuto un rapporto coerente col teatro, o forse vuole farsi perdonare ora una sgradevolezza di quindici anni fa. Allora si precipitò col suo sodale forzitaliota Micciché per minacciare in maniera piuttosto «calorosa» Luca Ronconi. Questi metteva in scena a Siracusa Le rane di Aristofane, una sorta di attacco a tutto campo alla classe di governo ateniese, e aveva pensato di inserire sul fondale del palcoscenico del teatro greco i volti dei governanti di allora, ovvero Berlusconi e Fini, e forse anche Bossi. Davanti alle mani minacciose di Micciché, e alle paure dei siracusani, Ronconi mostrò la «censura» allo spettacolo con enormi cornici vuote, senza volti.

 

 

Ora che  Miccichè presiede il parlamento della regione Sicilia, anche Stefania Prestigiacomo ha forse voluto fare un gesto di pace col teatro. Sicuramente per questo motivo, come facendo shopping al corso, ha scelto per Barbareschi un simpatico dono, anche perché i milioni di euro sono tornati quattro, come la storia e l’importanza dello spettacolo impongono! Tanto che l’emendamento è passato col voto compatto dei partiti di governo, anche del Pd, che come dice l’autorevole Esposito, sa bene che le «marchette» usavano già nel Senato di Cicerone. Deve essere stato un bellissimo natale, a via Nazionale. Da cui è già arrivata la notizia che Barbareschi produrrà ben quattro (numero magico) film di Brizzi, che ora nessuno vuol più produrre dato il singolare metodo poco stanislavskiano e molto coinvolgente di provare di persona le scene con le attrici.
In questa festa della bontà natalizia,se qualche problema verrà, sarà tra qualche mese. Magari sotto elezioni. Come si giustificherà Prestigiacomo, non davanti agli elettori né ai teatranti o tanto meno ai terremotati, ma, ad esempio, davanti al sindaco di Amatrice, che da lei e dal suo partito dovrebbe essere appoggiato per conquistare la regione Lazio. Per non parlare del presidente del consiglio Gentiloni che non potrà tanto facilmente affacciarsi come il cucù tra Amatrice e gli altri borghi vittime del terremoto, ripetendo come un mantra che quei cittadini sono un’esigenza primaria del paese. Magari li inviterà tutti a via Nazionale, per una amichevole matinée.