Le pensioni a «quota cento» non faranno crescere l’occupazione; l’aumento dei consumi prodotto dal sussidio chiamato impropriamente «reddito di cittadinanza» sarà pari solo allo 0,15% del Pil. Gli interventi messi in campo dal governo Lega-Cinque Stelle non sosterranno la crescita ma potrebbero far aumentare il debito e, comunque, non lo faranno diminuire quest’anno e l’anno prossimo. È l’orientamento negativo contenuto dal rapporto sull’Italia dalla Commissione Ue, anticipato ieri dall’Ansa, che sarà reso noto oggi. Il centro di questa valutazione gravita intorno al taglio degli investimenti, dati in discesa sia a livello nazionale che internazionale. La legge di bilancio approvata a fine dicembre 2018 non contiene, a parere della Commissione Ue, sufficienti tracce di un’inversione di tendenza.

BRUXELLES CRITICA la «quota 100» perché, in un contesto economico dove è già stata registrata una «recessione tecnica», è difficile immaginare che tutti coloro che andranno in pensione (ieri alle 16 l’Inps aveva ricevuto più di 70 mila domande) saranno sostituiti da «giovani». Anche perché il turn-over non è automatico, anche in periodi più floridi. In compenso si prevede la crescita del deficit strutturale dovuta a questa misura presentata come l’«abolizione della riforma Fornero», mentre in realtà è una toppa solo triennale alle conseguenze prodotte dal meccanismo di adeguamento all’età pensionabile.

Da un punto di vista diverso, la Commissione ritiene che questa misura possa incidere sul livello della crescita potenziale perché riduce la popolazione in età da lavoro.

Per il momento, è più sfumato il giudizio sul «reddito di cittadinanza». In attesa di vedere come la misura sarà applicata («a partire da aprile» ha confermato ieri Di Maio), la Commissione si è limitata a escludere che avrà un impatto significativo sulla crescita «incredibile» annunciata dal presidente del consiglio Conte. L’aumento degli spread è stato limitato, ma la Commissione teme che un deterioramento degli indici macro-economici possa creare conseguenze anche pergli altri Stati membri.

È dunque esclusa una procedura per correggere gli squilibri provocati dalla manovra di dicembre. Se fosse adottata, mai stata fino ad oggi è stata utilizzata in nessun paese, tale procedura prevede la richiesta della Commissione al governo di una manovra e il calendario della sua attuazione. La commissione resta in attesa del nuovo Documento di Economia e Finanza (Def) che, entro aprile, sarà presentato dal governo, probabilmente con stime più realistiche su crescita, deficit e debito. Il giudizio dei custodi dei conti di Bruxelles arriverà dopo le elezioni europee di fine maggio. Il governo continuerà ad essere «monitorato», non diversamente da quanto è accaduto negli ultimi anni.

L’ATTESA DELLA NUOVA STIMA è stata preparata dal governo su più piani. In un’intervista al Sole 24 ore, ieri Conte ha anticipato una delle possibili richieste della Commissione: la revisione delle esenzioni e deduzioni fiscali («tax expenditures»). Di ancora incerto importo, e di difficile realizzazione considerata la mole degli interventi su un settore assai delicato, il governo sembra vagheggiare l’intenzione di ottenere cifre importanti per colmare lo sbilancio tra i due miliardi di euro accantonati con le «clausole di salvaguardia» imposte da Bruxelles e la stima degli otto mancanti.

E questo senza considerare i 23 miliardi da trovare per «sterilizzare» le «clausole Iva» sulle quali il governo ha scaricato il maggiore deficit prodotto per finanziare le misure simbolo dei suoi azionisti di maggioranza. In una conferenza stampa ieri alla Camera Di Maio ha promesso anche «un taglio delle tasse alle imprese». Anche per il vicepremier pentastellato «non ci sarà una manovra bis». Quanto alla critica della Commissione Ue sulla mancanza degli investimenti, Conte ha anticipato una serie fumosa di atti: una legge delega, un decreto legislativo che conterrà una «riforma organica» del codice degli appalti, uno «schema di decreto legge» per riavviare «vari cantieri».