Il sussidio detto impropriamente «reddito di cittadinanza» ha compiuto un mese e al momento esclude i giovani under 30. Il dato è emerso dalla fotografia scattata il 30 marzo scorso dai Caf: sulle oltre 600 mila domande registrate dai Caf (a cui vanno aggiunte 223 mila depositate all’Inps e 30.521 online) solo l’otto per cento dai 18 ai 29 anni hanno presentato domanda. La stragrande maggioranza (il 75%) è tra i 30 e i 67 anni. Il 17 per cento è costituito da potenziali richiedenti la «pensione di cittadinanza». Il dato fa riflettere dato che in Italia l’Eurostat ha calcolato la presenza di due milioni e 190 mila giovani «Neet» (che non studiano e non lavorano tra i 18 e i 24 anni), che l’Anpal sostiene che un milione e 400 mila di loro non ha mai incontrato un operatore dei centri per l’impiego negli ultimi due anni e che la disoccupazione giovanile è al 32,8, 14 punti in più dal minimo pre-crisi di febbraio 2007.

DUE IPOTESI possono essere avanzate. La prima: la percentuale di giovani è così esigua perché la domanda è stata presentata da un altro membro della famiglia, il padre e la madre valutati come «poveri assoluti», cioè con un reddito Isee inferiore a 9.360 euro annui se la famiglia è proprietaria; un patrimonio immobiliare inferiore a 30 mila euro nel quale non è compresa la prima casa; residenza in Italia da almeno dieci anni, gli ultimi due continuativi. Una norma xenofoba che esclude gli stranieri extracomunitari residenti da meno di dieci anni. Per i Caf solo il 9% degli stranieri residenti ha presentato domanda. Il 91% degli italiani comprende i cittadini Ue residenti in Italia.

LA SECONDA IPOTESI è legata alla conversione in legge del «decretone» approvata il 27 marzo scorso. Dalla lettura del provvedimento emerge la chiara volontà del governo di escludere gli under 26 anni dal beneficio diretto e individuale del reddito, vincolando la loro indipendenza al controllo familiare. La norma rientra nella batteria di controlli disposti per impedire eventuali abusi, prevede innanzitutto la verifica da parte dello stato della condizione delle relazioni tra i coniugi (se sono realmente divorziati, conviventi, ad esempio).

La ragazza o il ragazzo che si stacca dal nucleo familiare per motivi di studio, riceverà il «reddito» se la famiglia di provenienza sarà in possesso dei requisiti . A questo vanno aggiunte le penalità in cui incorrerà il nucleo familiare nel caso in cui i figli non frequentino la scuola è prevista una riduzione del «reddito». Dopo il primo richiamo, la riduzione sarà pari al 30 per cento, 50 per cento dopo il secondo richiamo; il terzo richiamo determina la definitiva revoca. Così si ritene di affrontare il problema della dispersione scolastica: minacciando l’intero nucleo familiare e, presumibilmente, creando tensioni tra genitori e figli.

DAI DATI DEI CAF risulta che la maggioranza dei richiedenti «reddito» è donna (53%), riflesso dell’alto tasso di inoccupazione e disoccupazione femminile nel nostro paese. È ormai noto anche il dato sulle richieste del «reddito» al Nord. Diversamente dalla propaganda, vergognosa, che ha tartassato la misura di workfare dei populisti penta-leghisti (sussidio pubblico in cambio di lavoro obbligatorio fino a 16 ore a settimana) la regione con le richieste più alte è, a sorpresa, la Lombardia con 26.492, seguono la Campania con 25.486, la Sicilia con 21.071. La povertà è diffusa in tutto il paese. È il risultato di un impoverimento radicale delle classi medie e della proletarizzazione di quelle lavoratrici. A Nord, e a Sud. Per avere dati certi, sul mese di aprile, sarà necessario aspettare l’analisi del nucleo familiare dell’Inps. La prima erogazione è prevista a maggio, in tempo per le europee. Si ritiene che il numero delle domande rifiutate sarà inferiore a quello del precedente «reddito di inclusione».

IL MINISTRO DEL LAVORO e sviluppo Luigi Di Maio (M5S) sostiene che il numero complessivo delle domande aumenterà nei prossimi mesi. Di diverso avviso sono i Caf: la platea potenziale indicata dal governo era di 4,9 milioni di persone (1,8 milioni di famiglie). Nella relazione tecnica della legge si è ritenuto che il 15% non farà domanda e che le famiglie interessate saranno 1,3 milioni. Oggi le persone coinvolte sono molte di meno, circa 800 mila, prima del vaglio dell’Inps. Questo totale potrebbe aumentare, consolidandosi nel tempo, restando al di sotto dell’ipotesi di partenza. A quel punto partiranno le speculazioni, anche contro i «poveri» che non accettano la mano offerta dal governo. Potrebbero invece avere scelto di difendersi dalla volontà di controllo e punizione manifestate nel provvedimento.

È PROBABILE che, almeno per i primi sei-otto mesi, il sistema delle politiche attive del lavoro e sorveglianza ideato da questo governo non partirà. I 3 mila «Navigator» non saranno operativi prima di settembre, almeno. Per il nuovo personale assunto nei centri per l’impiego non prima di un anno. La strada è ancora molto lunga e può trasformarsi in un’ incognita piena di insidie.