Nervosismo generale al video-Consiglio europeo di ieri sera sui due fronti più caldi: Brexit e veto di Ungheria e Polonia sul pacchetto di 1800 miliardi, tra bilancio pluriannuale e Recovery Fund. In agenda c’era prima di tutto il Covid, il coordinamento, i vaccini e come evitare nuovi episodi di nazionalismo sanitario, l’Europarlamento chiede “trasparenza” sui contratti.

Un caso di contagio al Coronavirus nel team del negoziatore europeo Michel Barnier ha portato ieri alla sospensione dei negoziati tra Ue e Gran Bretagna. Si era parlato di proseguire nel fine settimana, ma ora è tutto rimandato alla prossima settimana.

Il tempo è ormai quasi scaduto, l’ipotesi di un “no deal” sta diventando sempre più concreta e ormai tra i diplomatici c’è chi pensa che l’alternativa è tra una soluzione “cattiva” e una “pessima”: sempre che non ci sia un colpo di scena, il 31 dicembre la Gran Bretagna esce dalla Ue senza accordo, se il distacco avviene senza troppi drammi il negoziato continua a gennaio ma nei primi tempi le relazioni saranno regolate sulla base delle regole minime della Wto, mentre se i due partner si lasciano con rancore i negoziati sulla “relazione futura” rischiano di durare a lungo, con la conseguenza di confusione totale e immediata sugli spostamenti (aerei, passeggeri), sui trasporti delle merci, con l’incubo di chilometri di code di camion nel Kent, in attesa di passare la dogana per entrare nel territorio del mercato unico.

Per non parlare della frontiera tra Eire e Irlanda del Nord, con la minaccia di un ritorno delle violenze a cui aveva messo fine l’accordo del Good Friday del ’98. La Ue ha sperato che l’uscita del consigliere Dominic Cunnings e del direttore della comunicazione di Boris Johnson, Lee Cain – due brexiters duri – fosse un segnale di distensione e di apertura. Ma non è stato cosi’.

Anche se gran parte dell’accordo è a portata di mano, restano da definire tre punti fondamentali: la pesca (quote, possibilità per gli europei di pescare nelle acque inglesi); il rispetto delle norme Ue da parte della Gran Bretagna e la governance (il ricorso alla Corte di Giustizia). Ma i 27 danno segni di stanchezza, una perdita di interesse nella Brexit (la Gran Bretagna esporta il 47% nella Ue, al contrario è solo l’8%).

Su Ungheria e Polonia, appoggiate ora anche dalla Slovenia, la Ue punta a lasciare che la rabbia schiumi per limitare i ritardi. La Ue ha votato (a maggioranza qualificata) la condizionalità tra finanziamenti comunitari e rispetto dello stato di diritto. C’è stato l’accordo del Parlamento europeo, dopo qualche chiarimento. La Ue non cambierà posizione, anche perché i “frugali” (Svezia, Olanda, Danimarca, Austria, più Finlandia), che già avevano accettato senza troppi entusiasmi il ricorso all’indebitamento solidale della Ue, devono far passare il progetto nei loro parlamenti e non cederanno sulla condizionalità. Il polacco Mateus Morewiecki ieri ha scatenato tutto il catalogo populista: la Ue “fa propaganda”, ci sono “decisioni arbitrarie” presi da “eurocrati” e dall’”oligarchia Ue”. Viktor Orban è più prudente, il suo partito, la Fidesz, pur sospeso è ancora nel Ppe.

Ma il blocco del bilancio e del Recovery (attraverso il veto alla decisione sulle risorse proprie, che devono essere votate all’unanimità, perché implicano una spesa futura) rende tutti nervosi: i piani nazionali, soprattutto nei paesi più colpiti dal Covid (Italia, Francia, Spagna) sono dipendenti dai soldi europei. Il Senato francese ha espresso “viva inquietudine”. Il sottosegretario all’Europa, Clément Beaune afferma: “la Francia non rinuncerà né al rilancio né ai valori”.

E evoca l’ipotesi allo studio: “come andare avanti senza paesi che bloccano”. Cioè trasformare il Recovery in progetto intergovernativo, a 25 o 24. Significherebbe perdere la connessione con il bilancio Ue, il vero passo avanti federale. Il primo ministro rumeno, Ludovic Orban, ha lanciato un appello a Ungheria e Polonia, perché ritirino il veto e permettano il varo del Recovery Fund, “estremamente importante per rilanciare l’economia di tutti in Europa, anche a vantaggio dei cittadini polacchi e ungheresi”.

La Polonia attende 160 miliardi dalla Ue nei prossimi 7 anni, l’Ungheria dal 2014 al 2020 ne ha ricevuti 25 miliardi. Sono i paesi che più guadagnano dall’appartenenza alla Ue.