Mentre i primi ministri dell’Europa del Sud sono impegnati nel mini vertice di Atene, e si prepara quello di tutta la Ue la settimana prossima a Bratislava, in Italia continuano a fiorire le ipotesi e gli scenari sulla legge di Bilancio. In particolare negli ultimi giorni è sotto osservazione il capitolo pensioni: lo stesso premier Renzi, qualche giorno fa da Porta a Porta, ha manifestato l’intenzione di intervenire.

Resta per ora confermata (ma ricordiamo che circolano solo bozze informali) l’estensione della quattordicesima per i pensionati: dagli attuali 1,2 milioni di beneficiari si passerebbe a una platea di circa 2,4 milioni, per una spesa intorno agli 800 milioni di euro. Invece di 80 euro mensili, ne arriverebbero in tasca al pensionato circa 50, e non è ancora chiaro se in unica soluzione o mese per mese.

Capitolo più complesso quello relativo all’Ape, l’ormai famoso prestito che il pensionato dovrebbe contrarre con un istituto di credito per poter abbandonare in anticipo il posto di lavoro (si evita così di modificare la legge Fornero, lasciando sostanzialmente intatti tutti i parametri). I sindacati, consultati a un tavolo aperto con il ministro del Welfare Giuliano Poletti, hanno più volte insistito sul punto che non debbano essere i pensionati stessi a rimetterci. Si studia così un sistema che annullerebbe qualsiasi costo per chi avrà un assegno fino a 1500 euro lordi, e che invece imponga un sacrificio crescente per chi ha diritto a trattamenti più ricchi. Al prestito verrebbe affiancata una polizza che tuteli la banca in caso di morte prematura del cliente. Il costo per questo intervento non è ancora definito, ma dovrebbe aggirarsi tra i 600 e gli 800 milioni di euro (o di più, in caso si voglia ulteriormente caricare sullo Stato a favore dei pensionati).

Altri interventi a cui si pensa sono quelli in favore dei lavoratori precoci (riguarderebbe tra le 60 mila e le 70 mila persone l’anno, e potrebbe arrivare a costare 1,5-1,8 miliardi), la ricongiunzione gratuita dei contributi versati in enti previdenziali differenti (almeno 500 milioni). Infine, si risponderebbe a una richiesta che il sindacato già fa da tempo: ovvero allineare la no tax area dei pensionati a quella dei lavoratori dipendenti (costo previsto: circa 300 milioni).

Un capitolo che, come si vede, richiede già notevoli risorse (stando bassi almeno 2,5-3 miliardi di euro), e che si andrà a sommare a quello dei contratti del pubblico impiego (chiedono aumenti per circa 7 miliardi, per ora sul piatto ci sono solo i 300 milioni stanziati già nella legge di Stabilità dell’anno scorso).

Ci sono anche da considerare i circa 15 miliardi necessari per neutralizzare le clausole di salvaguardia, e le risorse da dedicare agli interventi sul fisco (Ires, Iri, indirizzati alle imprese), senza contare che anno per anno vanno finanziati gli 80 euro e gli incentivi per le assunzioni. La manovra al livello più basso dovrebbe limitarsi a 25 miliardi, ma è facile pensare che si debba arrivare almeno fino a 30, magari grazie a uno sconto Ue sulla flessibilità (che si sta negoziando).

E la crescita? E la necessaria e urgente messa in sicurezza contro i terremoti, quello che per il governo dovrebbe essere «Casa Italia»? Di necessità di investimenti pubblici e per l’occupazione parla la Cgil, che martedì prossimo presenterà il suo Piano straordinario per il lavoro. «Bisognerebbe intervenire sui patrimoni per reperire risorse per un piano del lavoro per i giovani, che è la vera emergenza del Paese – spiega Susanna Camusso alla Stampa – Ridurre fortemente le tasse a lavoratori dipendenti, ai precari e discontinui, ai pensionati. Ma non ci pare sia questa l’intenzione».