Sarà un capodanno poco propizio per l’America che entra nel 2019 nel mezzo di uno shutdown, la paralisi di governo che fotografa lo stallo paradossale al quale il trumpismo ha portato «l’ultima superpotenza». Il paese è ostaggio del presidente e della sua ultima bizza stizzita. Stavolta riguarda il confine messicano che intende «sigillare» se il congresso non stanzierà il muro promesso alla tifoseria nazionalista.

Dopo due anni la popolazione è stremata dalla dieta imposta da un regime che si nutre di conflitto, passando da un estemporaneo diverbio ad un altro, quotidianamente attizzati da tweet mattutini amplificati sui talk show. Una cacofonia di iniziative perentorie e unilaterali mirate a rinsaldare la base rancorosa ma non riconducibili in definitiva ad ideologie più ampie che un revanchismo «anti buonista» e soprattutto la psicopatologia specifica del narciso che occupa la casa bianca.

Trump è il condomino prepotente che tutti cercano di evitare. Con rating che stazionano attorno al 40% rappresenta il dominio di una minoranza decisa deragliare l’esperimento multiculturale americano. Nel suo secondo anno Trump ha stracciato il trattato con l’Iran, spostato l’ambasciata a Gerusalemme, forzato nomine giudiziarie che moto influiranno sul ripristino di patriarcato e ordine razziale: antico progetto eugenetico della destra.

Come le sue controparti nel mondo, Trump opera una politica del tutto divorziata dall’ etica. Come se fosse sorprendente poi che un tycoon – o una sua versione da reality tv – potesse portare alla politica altro che l’efferata amoralità da palazzinaro, simile a quelle degli ex manager Exxon, Boeing, Goldman Sachs che lo circondano. Un efficientismo che applica con identica ignavia un dazio alla Cina o il metodo libico ai migranti. Il piccolo Guatemalteco Felipe Gomez Alonzo, morto a otto anni in una cella gelida del Border Patrol la notte di Natale completa il perverso presepe del regime e la catastrofe morale che rappresenta.

Eppure nel caos nel quale si è concluso l’anno, con la borsa in fibrillazione e una Casa bianca decimata da defezioni, dimissioni e rinvii a giudizio – si intravede forse il possibile inizio della fine.

Il 2018 è stato anche l’anno delle midterm e della rinconquista democratica della camera. Se non un plebiscito un indicazione forte di fermento a sinistra e dal basso. La prossima settimana si insedieranno al congresso un numero record di donne, le prime due musulmane, le prime due native americane la più giovane di sempre.

Il 2019 vedrà la pubblicazione del rapporto Mueller , entreranno poi nel vivo le manovre elettorali. Se i democratici sapranno galvanizzare le riserve di indignazione, motivare la coalizione e trovare la candidatura giusta l’America potrebbe essere il primo paese nazional populista a vedere la luce alla fine del tunnel. A poter porre rimedio, forse, anche alle precedenti malefatte liberiste (la Green New Deal proposta da Alexandria Ocasio-Cortez sarebbe un buon inizio)

Nel frattempo ci sarà tempo per molte malefatte ancora, molta ingiustizia e disuguaglianza sotto il cielo a stelle e strisce. E oltre.