In politica, come in guerra, ci sono gli obiettivi e ci sono le strategie. Gli obiettivi rispondono ai principi, le strategie alle circostanze. Tsipras ha espresso gli obiettivi in campagna elettorale, ora deve confrontarsi con le strategie.

Il governo greco ha due problemi di fronte a se. Il primo come continuare a ricevere soldi dall’Unione Europea senza assoggettarsi alle regole dell’austerità. Il secondo come ridurre il debito da restituire senza uscire dall’euro. Fino ad ora si è concentrato solo sul primo punto con una soluzione di compromesso.

Impantanato in una situazione di totale dissesto, il 3 maggio 2010 il governo greco firmò un accordo con le istituzioni europee finalizzato a ricevere fondi in cambio di un pacchetto di misure finanziarie e di riduzioni salariali tese a riportare il bilancio pubblico greco in attivo e a ridurre i costi di produzione delle imprese greche. Con la firma di questo accordo la Grecia ha ricevuto dalle istituzioni europee, dai singoli stati europei e dal Fondo Monetario Internazionale un totale di 254 miliardi di euro. Soldi che solo per il 10% sono stati usati dal governo greco per le spese interne, mentre tutto il resto è stato usato a vantaggio delle banche e dei creditori. Più precisamente il 19% per ricapitalizzare le banche greche, il 16% per il pagamento degli interessi, e tutto il resto per restituire alle banche francesi e tedesche le quote di debito in scadenza. In altre parole il governo greco ha solo fatto da passamano dei soldi ricevuti con due risultati: un massacro sociale e il cambio di natura dei propri creditori. Oggi infatti l’85% del debito pubblico greco è nei confronti di istituzioni pubbliche estere, principalmente europee.

L’accordo firmato il 3 maggio 2010, prevedeva l’esborso della cifra pattuita non in un’unica soluzione, ma in più rate previa verifica del mantenimento degli impegni da parte della Grecia. Ad ogni superamento di verifica veniva firmato un rinnovo dell’accordo con la specifica dell’importo da elargire e la data di scadenza. L’ultima verifica era avvenuta il 19 dicembre 2014 con scadenza il 28 febbraio 2015. Di tutti i soldi pattuiti, ormai ne sono rimasti solo un paio di miliardi e la grande decisione che doveva prendere il nuovo governo greco era se rinunciarci o cercare di averli, ben sapendo che per niente l’Europa non dà niente. La scelta di Tsipras è stata di sfidare l’Europa chiedendo di avere i due miliardi rimasti senza piegarsi alle regole di austerità che in passato scattavano in automatico.

Per capire i margini di manovra disponibili, Varoufakis si è messo in giro per l’Europa e il 23 febbraio ha stilato la proposta di impegni che il governo greco è disposto ad assumersi fino al 30 giugno, per avere l’ultima quota. Il documento è un esercizio di equilibrismo per non irrigidire i partner europei e non smentire le promesse fatte al popolo greco. Perciò se da una parte usa un linguaggio gradito ai neoliberisti, dall’altra contiene impegni bilanciati come quello di migliorare il gettito fiscale secondo un’ottica di progressività e di lotta all’evasione, di ridurre gli sprechi di spesa senza compromettere l’universalità dei servizi, di dare esecuzione alle privatizzazioni ormai decise rivendendo quelle ancora aperte e via di questo passo. Da un punto di vista ideologico qualcuno ci sarà rimasto male, ma il confronto è solo all’inizio. Al momento Tsipras sembra aver privilegiato il realismo di chi vuole uscire dalla tempesta senza che nessuno sia sommerso dai cavalloni e venga tirato a fondo dai pescecani. In base alle armi a propria disposizione i pescecani si combattono con le fucine o con le esche.

Nell’antichità i greci conquistarono Troia con un cavallo di legno. Nei conflitti, il punto non è la strategia, frutto sempre di valutazioni di costi e benefici. Il punto è ricordarci sempre che il nostro obiettivo è salvare i più deboli e creare le premesse affinché i forti non possano più spadroneggiare. Fermezza di obiettivi ed elasticità di strategie, sono la vera sfida di ogni avventura politica.