Ci ha pensato Donald jr a tenere alta la bandiera del becerume paterno il giorno dopo il messaggio alla nazione dallo studio ovale che avrebbe dovuto segnare la normalizzazione, se non altro mediatica, del pirotecnico presidente.

Una performance che si è rivelata un fiasco. Come avrebbe fatto il padre, in una delle sue scioccanti esibizioni di disumanità, il figlio omonimo ha riassunto così, in un Instagram, la «filosofia» del muro anti-immigrati al confine del Messico: «Sapete perché potete godervi una giornata allo zoo? Perché i muri funzionano». Gli immigrati come le scimmie, insomma. Il giorno prima, i dieci minuti prenotati dalla Casa bianca nella fascia di massimo ascolto televisivo erano serviti solo a dimostrare che il presidente è nudo quando prova a recitare il suo ruolo dentro il format istituzionale classico del discorso alla nazione. Prima dell’era Trump, era la cornice che meglio definiva lo status di leader della nazione più potente e che conferiva gravitas alla carica presidenziale e dunque al suo messaggio.

Un terreno favorevole alla Casa Bianca nei momenti di attrito pericoloso con l’opposizione. Prima di internet e dei social era il modo per rivolgersi agli americani senza mediazioni, senza filtri. Trump aveva immaginato di rinnovare il Reagan che licenziava i controllori di volo dallo studio ovale, una parte che aveva deliziato gli ammiratori dell’ex attore nelle parti dello sceriffo implacabile. Ma Reagan, che aveva lavorato nel cinema, anche se in parti minori, sapeva stare davanti alla camera, e recitare bene la parte assegnatagli. Il presidente dei tweet era ben lontano dal suo modello, era impacciato, un linguaggio del corpo ancor più ridicolo di quando fa il buffone con i suoi tweet e le improvvisate davanti ai reporter.

Parole incapaci di dare un senso, un perché, all’emergenza che solo giustifica un discorso presidenziale alla nazione a reti unificate. Un messaggio che non ha dato alcuna notizia, ma è stato solo l’ennesima conferma di quanto va blaterando dacché era candidato presidenziale, sulla necessità di costruire un muro lungo il confine per fermare l’immigrazione illegale, «una crisi umanitaria, una crisi del cuore e una crisi dell’anima». Trump non si è mai tanto preoccupato di parlare agli americani, essendo interessato solo ai suoi americani, a rinforzarne la lealtà, convinto com’è che negli scontri che contano – anche le prossime presidenziali – essenziale è avere un forte e motivato zoccolo duro di elettori- sostenitori. Il registro del presidente di tutti, non è dunque per lui. Strano che si sia fatto convincere che il discorso alla nazione fosse una mossa astuta per tirarsi fuori dall’angolo in cui da solo s’è cacciato, personalizzando al massimo la sfida con l’opposizione sul finanziamento del muro. Un sfida portata fino alla protratta chiusura delle attività pubbliche, una responsabilità che ha addirittura rivendicato ma che adesso si rivela assai scomoda, anche agli occhi di parti del suo elettorato più fedele.

L’inutile discorso di martedì sarà anche ricordato come l’ulteriore conferma che lo stile di questo presidente ha lesionato forse irreparabilmente l’istituzione presidenziale, la sua credibilità, fin nei suoi riti e rituali.
Ma se Trump era goffo nella sua performance, ridicoli sono apparsi i suoi due massimi oppositori politici, i due leader democratici al Congresso, Charles Schumer e Nancy Pelosi, chiamati a rispondere al discorso presidenziale, in piedi, affiancati, guardando la telecamera senza incrociare i loro sguardi, una recita mal riuscita d’altri tempi. Anche loro, come Trump, sono ormai a loro agio nell’informalità delle dichiarazioni improvvisate o via social.

Questa rapida e profonda trasformazione della comunicazione politica e istituzionale è parte della trasformazione più generale della politica e delle istituzioni. È un insieme di fattori concomitanti, molti generati dall’innovazione informatica, che cambia la politica sotto i nostri occhi, rendendola spesso un teatrino, anche mediocre. Nel quale un personaggio come Trump sembrava muoversi con più disinvoltura dei suoi avversari interni ed esterni, scegliendo lui via via il set più congeniale, fino alla pessima recita di martedì: il mediocre imitatore di Reagan è in crisi.