Com’era previsto, il capo di stato spagnolo, re Felipe VI, ha nominato il leader socialista e capo dell’esecutivo uscente Pedro Sánchez candidato a futuro presidente del governo. Nel sistema spagnolo, il capo dello stato non incarica un leader di formare un governo: può solo limitarsi a indicare il nome del candidato che dovrà poi presentarsi al Congresso per ottenerne l’investitura. La gestione dei prossimi passi politici sarà infatti nella mani della presidente della camera bassa spagnola, Meritxell Batet, che convocherà la sessione di investitura quando riterrà opportuno.

Il monarca ha fatto un giro di consultazioni durato due giorni: non c’erano mai stati tanti partiti (18). Gli ultimi a entrare ieri pomeriggio, sono stati i 4 principali: Unidas Podemos, Vox, Partito popolare e socialisti.
Se l’attenzione mediatica è concentrata su Madrid, dove si svolge il rituale istituzionale, il vero fuoco della dinamica politica è oggi più che mai a Barcellona. Unidas Podemos lavora fianco a fianco coi socialisti, dietro le quinte, per limare le ultime asperità dell’accordo. Ma la vera protagonista degli ultimi giorni è ancora una volta Esquerra republicana de Catalunya (peraltro uno dei tre partiti che si sono rifiutati di vedere il monarca). Il partito indipendentista di sinistra che con i suoi 13 seggi può decidere, con l’astensione, le sorti del primo governo rosso-viola del paese. I negoziati continuano e per il momento passetto a passetto, la soluzione della complessa quadra politica si sta avvicinando.

LUNEDÌ, IN SEGRETO, e martedì, pubblicamente, socialisti e repubblicani si sono visti nella capitale catalana. Socialisti e viola ormai danno per scontato che l’investitura slitterà a gennaio: Esquerra chiede tempo. È che nei prossimi giorni si incrociano una serie di avvenimenti politici che rendono il cammino più accidentato. Il primo ostacolo era ieri: le commissioni carcerarie delle tre prigioni catalane dove sono rinchiusi i prigionieri politici condannati (tra cui Oriol Junqueras presidente di Erc) hanno deciso di proporre al governo catalano che scatti il “secondo grado” per i condannati. Si tratta dello status più frequente fra i carcerati (ce l’ha il 70%) che permette, una volta scontata un quarto della pena (cosa che avverrà per la maggior parte di loro a inizio anno), di accedere ad alcuni benefici come la possibilità di uscire per lavorare o fare volontariato, e fino a 36 permessi all’anno. Esisteva la possibilità di concedere loro il “terzo grado”: praticamente un regime di semilibertà, ma questa opzione è stata scartata. Il governo catalano può però decidere se ratificare la proposta o farne un’altra e la pubblica accusa spagnola può fare ricorso contro questa decisione.

LO STATUS DEI PRIGIONIERI è, non ufficialmente, una delle questioni sul tappeto: tutti i partiti catalani (JxCat ed Esquerra, ma anche Catalunya en comú, alleato di Podemos) chiedevano il terzo grado, anche se Esquerra si mostra più pragmatica. Intanto lo scontro fra JxCat e Esquerra, maggioranza di governo in Catalogna, ieri è arrivato nel Parlament catalano: Esquerra, punta sull’accordo coi socialisti per portare a casa un negoziato vero, riceve pressioni sia dalla sua sinistra, sia da JxCat. L’accusa è di arrendersi a Madrid e di “negoziare” i diritti come quello all’autodeterminazione che, secondo i Cdr (comitati di difesa della repubblica), non si possono negoziare. Il presidente catalano Torra, di JxCat, esige di sedersi al tavolo dei negoziati con Madrid, mentre per Esquerra non è la condizione chiave. Oltretutto, Torra nei prossimi giorni verrà interdetto dai pubblici uffici per essersi rifiutato di togliere uno striscione indipendentista durante le elezioni, e il governo catalano finirà nelle mani del vicepresidente: un esponente di Esquerra.

Lunedì prossimo, poi, è prevista la sentenza del tribunale europeo dei diritti umani sullo status dell’ex presidente catalano Puigdemont e di Toni Comín: entrambi eletti eurodeputati, che vivono a Bruxelles. Ma siccome non hanno giurato la costituzione a Madrid (per non essere arrestati), non hanno potuto prendere possesso dei loro seggi. Per gestire tutto questo, la settimana prossima Erc ha convocato un congresso: impossibile che prendano una decisione sul governo prima. E poi mercoledì c’è il “classico” Barça-Real Madrid: Tsunami democràtic sta pianificando un boicottaggio al Camp Nou. Forse l’accordo si avvicina: ma ci sono così tanti ostacoli che ci vorrà tutto il sangue freddo e la volontà politica di Sánchez per riuscire a ottenere la luce verde.