Sul concetto di trash si trascinano da anni nel nostro paese equivoci e semplificazioni complici un certo radicato snobismo intellettuale, la traduzione letterale italiana cioè «spazzatura» e il progressivo scadimento della tv, veicolo principe indiscriminato di tutto quanto «fa spettacolo». In realtà esistono una cultura e un’estetica del trash in senso lato, tanto è vero che nella prima metà degli anni ’90 lo stravagante critico cinematografico inglese Jonathan Ross scrisse il libro «L’incredibile storia del cinema spazzatura» diventato la Bibbia della cinefilia non-riconciliata cultrice della serie B e dei generi «bassi» e il geniale scrittore prematuramente scomparso Tommaso Labranca s’interessò al fenomeno del trash da un’angolazione intellettuale sofisticata pubblicando la fanzine «Trashaware» e il suo libro più famoso «Andy Warhol era un coatto». Vivere e capire il trash, salvo poi prendere successivamente le distanze a causa delle derive del termine.

A riaprire indirettamente la «questione» o almeno a stimolare una riflessione sull’argomento – oggi che la tendenza si è esaurita e il trash sembra acquisito e assorbito dal sistema per cui sembra quasi normale che nei vari programmi dell’emittenza televisiva italiana ci siano situazioni o personaggi «spazzatura» – esce il volume I«o, Tony Tammaro» (grausedizioni, pagg.124, euro 15) di Tony Tammaro e Ignazio Senatore. L’agguerrito editore napoletano ha affidato l’autobiografia del popolare cantautore napoletano diventato a cavallo degli anni ’90 e i 2000 un’icona della «tamarraggine» a Senatore, psicoterapeuta e critico cinematografico specializzatosi in libri-interviste a registi, attori e non solo che ha coniato il simpatico sottotitolo «Antidepressivo naturale» (senza effetti collaterali).

Tony Tammaro è il nome d’arte di Vincenzo Sarnelli, figlio di Egisto cantante e chitarrista in voga negli anni ’70 e ’80. E fu proprio il padre – racconta Tony – dopo aver ascoltato alcuni pezzi che non gradiva a spingerlo a cambiare nome e lui scelse Tammaro con quella m in più e quella r in meno rispetto a tamarro che in qualche modo hanno fatto la sua fortuna almeno nel senso di comunicare la capacità di entrare e uscire ironicamente dalla categoria dei tamarri. Dall’hit «Patrizia» (la Reginetta di Baia Domizia) compreso nel primo album pubblicato nel 1990, una sorta di «manifesto» del neomelodico tamarresco, sono passati 30 anni nel corso dei quali Tony ha pubblicato altri sette album e una raccolta con grande successo di vendite, si è esibito in più di 2000 concerti, ha dato vita a programmi televisivi di grandi ascolti su emittenti locali, ha partecipato a trasmissioni televisive nazionali, ha vinto il Festival Italiano della Musica Demenziale, ha scritto qualche libro e ha tenuto anche conferenze sugli aspetti sociologici del «tamarro» in alcune Università italiane. Oggi Tammaro ha quasi 60 anni e questa lunga chiacchierata con Senatore gli ha consentito di confermare – se mai ce ne fosse bisogno – in una settantina di pagine suddivise in oltre 20 capitoletti e dense di ricordi, racconti e aneddoti, lo spessore di un artista che con le sue canzoni parodistiche ha «costretto» l’establishment musicale a fare i conti con il trash ma anche di disegnare un ritratto umano a tutto tondo.

Il libro corredato di appendici con la discografia completa e i testi delle sue canzoni più famose e di una Galleria con una quarantina di foto, ci restituisce la sua conoscenza delle regole del mondo dello spettacolo e delle «perversioni» della macchina mediatica e soprattutto la capacità di cavalcare con intelligenza l’onda di un successo nato anche un po’ per caso ma poi gestito conservando il necessario distacco.