Mathieu Malinski (Jules Benchetrit) è un ragazzo della banlieue parigina come i tanti che abbiamo visto al cinema: sempre di corsa, sfide con la polizia, gli amici del quartiere con cui rubare qua e là. La differenza è che ha un talento speciale per la musica, e quando il direttore del Conservatorio (Lambert Wilson) lo sente suonare Bach nella hall della Gare du Lyon, fa di tutto per ritrovarlo – il ragazzo si dilegua inseguito dai poliziotti prima che lo possa avvicinare – e convincerlo a entrare nella sua scuola … Nelle tue mani (come diventa in italiano Au bout des doigts rimandando al titolo del film di Del Monte del 2007)) non è proprio la versione classica (musicalmente) di A Star is Born – pure se una stella nascerà – e rientra però nello stesso «schema» del romanzo di formazione qui a più voci, non in una storia d’amore ma nell’incontro di tre vite che grazie a questa relazione finiranno per cambiare ricomponendo antichi traumi, dolori e sconfitte.

IL RAGAZZO viene preso in custodia dal direttore e affidato all’insegnamento della temutissima Contessa – Kristin Scott Thomas – maestra di piano intransigente da cui apprende come trasformare rabbia e ribellione in note modulando emozionalmente ogni sfumatura del suo essere nella musica. Saranno giorni di lotte, cadute, fughe, insofferenza, scoperte, incidenti (un tendine infiammato a poco tempo dal concorso che è l’obiettivo finale di questa sfida), l’amore, il movimento di una esperienza che fuori dalle pareti del Conservatorio somiglia (o dovrebbe somigliare) alla vita.

LA MATERIA appunto non è nuova, ma non è questo che appiattisce il film: il regista, Ludovic Bernard, a differenza del suo personaggio con la musica non si cura per nulla di infondere passione nelle sue immagine, lasciandosi guidare più che dalle intuizioni e dal piacere di narrare da una griglia di sceneggiatura millimetrata. Tutto è conseguente a ciò che è accaduto e a ciò che accadrà, ottimo esempio di quella scrittura in cui il cinema viene reso una specie di illustrazione un po’ melensa, e piena di comfort per lo spettatore guidato passo dopo passo. La lotta per il riscatto del ragazzo e il contrappunto tra genio e lavoro e disciplina – ovvero le lezioni furiose con la Contessa ma anche lo straccio passato sul pavimento del Conservatorio ogni mattina come pena per l’ennesimo furto – non hanno alcun sussulto né tantomeno uno stridore che ne faccia impennare – fino al Rachmaninov finale – l’andamento. Persino la resistenza del protagonista appare ovvia, così come gli inciampi di un destino «cinico e baro« – mai abbastanza – che inanella ogni sorta di impedimento.

IL PROBLEMA non è sapere tutto sin dall’inizio ma come questo venga scoperto; Ludovic non dispone gli ostacoli per aprire dei detour, o per regalarci qualche sorpresa ma per meglio sottolineare quel suo schema. E puntare l’obbiettivo sulle mani del giovane pianista, che accarezzano tutto come una tastiera, da sé non basta per filmare la musica.