Questo bel volume unisce rigore scientifico storico e capacità di evocazione di un intreccio di memorie intorno a un luogo della storia nazionale e al tempo stesso profondamente milanese: Il nostro silenzio avrà una voce: piazzale Loreto tra fatti e memorie (Il Mulino, pp. 280, euro 23). Dei tre autori e autrici, Elisabetta Colombo, Anna Modena e Giovanni Scirocco, il terzo ha già scritto numerosi saggi sul luogo e sulle controverse memorie che si sono sedimentate intorno ad esso: il volume nella diversità dei contributi dà l’impressione di un racconto unitario e rievoca con intensità i passaggi anche fisici – i pendolari della città industriale, i militanti clandestini, gli occupanti nazisti, i fascisti ormai estranei alla città – in una piazza oggi ormai sfigurata da interventi edilizi caotici e promessa a una ristrutturazione in vista della quale nessun contributo è stato chiesto proprio alla ricerca storica.

IN TUTTI I SAGGI si mette in luce che «piazzale Loreto» è innanzitutto stato il luogo di una strage di civili prigionieri, i «15 martiri» a cui era intitolata una sezione del Pci i cui corpi fucilati vennero esibiti sotto il sole del 10 agosto 1944, in segno di disprezzo e a scopo di intimidazione della popolazione. E Colombo, anche sulla scorta di documenti ancora non compiutamente utilizzati del fondo Brigate Garibaldi, come ricorda Paolo Pezzino nell’Introduzione, consente di spiegare la spietata esecuzione come una, la sola urbana, delle stragi dell’estate ’44 in cui l’esercito nazista vuole segnare l’ormai inevitabile sconfitta militare con una vera e propria guerra ai civili.

RICORDA CON PRECISIONE anche giuridica che l’attentato che aveva preceduto l’esecuzione si inquadrava in una strategia di attacco alla logistica dell’esercito nazifascista, non aveva provocato vittime militari tedesche e non poteva legittimarsi nemmeno come rappresaglia. Ricostruisce la catena di comando nazista e le responsabilità delle autorità di Salò che nemmeno il processo Saevecke aveva del tutto chiarito. Restituisce alle persone uccise nell’attentato alla bomba dell’8 agosto lo statuto di vittime di guerra, alla stregua dei piccoli «martiri di Gorla» dell’ottobre ’44, ricordandone i nomi e le identità. In occasione della presentazione del volume a Milano sono intervenuti i discendenti di una vittima dell’8 agosto, l’artigiano E. Brambilla, e di uno dei «15 martiri», l’azionista B. Fogagnolo che hanno testimoniato entrambi l’appassionata volontà di ricostruire insieme il ricordo di quelle tragedie e le responsabilità di nazisti e repubblicani di Salò che le unifica.

Anna Modena passa in rassegna le molte tracce che quella vicenda ha lasciato nella poesia, nelle arti visive, nei romanzi, che tutte ci riportano a una Milano popolare e operaia nei cui quartieri vivevano i protagonisti di queste storie: chi scrive, arrivata a Milano dalla provincia pavese all’inizio degli anni ’70, può testimoniare l’intensità di quel ricordo. Il saggio di Scirocco scrive invece del piazzale Loreto di Mussolini e dei gerarchi, la cui memoria nell’uso pubblico ha spesso prevalso sulla memoria della strage. Come ricorda David Bidussa nel suo intervento del 19/11 sugli Stati generali il testo ricostruisce, nelle ore immediatamente successive all’esposizione dei corpi dei gerarchi, l’atteggiamento della folla e di testimoni particolarmente significative nella differenza delle loro reazioni come Franca Valeri, cioè Franca Norsa, e Rossana Rossanda, le interpretazioni diverse di dirigenti politici e militari della Resistenza che pure ne avevano condiviso scelte e responsabilità. Poi la contesa intorno ai simboli di quella scena che ratifica la caduta ma soprattutto la perdita di legittimità del tiranno; infine l’uso che di quella scena viene fatto nel tempo, che si accompagna al recupero, anzi alla rivendicazione della memoria del fascismo da parte di chi si fa erede di quella storia e al punto di vista, diverso e più ambiguo, degli «anti-antifascisti» il cui anticipatore fu fin da subito Montanelli.

UNA MEMORIA spesso investita da distorsioni spontanee, oppure piegata a una narrazione apologetica cui questo saggio oppone una ricostruzione che nella sua precisione rende conto anche degli andirivieni di quella memoria – è il caso di Carlo Mazzantini. Se una memoria condivisa è impossibile, una ricostruzione unica, suggerita da Pezzino, è un modo, probabilmente il solo, per dare dignità a tutti i protagonisti e alle poche protagoniste di questi anni fondativi della nostra storia.