Alle 9.30 del mattino Giacomo Greco riceve una telefonata confidenziale: «La nave arriva in porto tra un’ora, sbrigati». Siamo a fine maggio, sono i giorni del G7 di Taormina. C’è Trump sull’isola e in Sicilia non sono ammesse presenze indesiderate. I manifestanti No G7 vengono ricacciati indietro a colpi di daspo. Stessa sorte per i migranti, a cui è negato l’approdo nei porti siculi.

La Phoenix, dell’Ong maltese Moas, è già al largo della costa jonica da un giorno, tra Roccelletta e Simeri Crichi. Sarebbe dovuta sbarcare a Crotone nella mattinata del 26 maggio. In serata giunge voce, non confermata da fonte ufficiale, che avesse invertito la rotta in direzione Napoli. Invece, alle prime luci del 27 maggio, arriva al molo di Crotone. A bordo 600 migranti, tra i quali 150 bambini non accompagnati e 32 cadaveri. Greco, fotografo freelance con esperienza professionale in Grecia, Irlanda e Regno Unito, si infiltra furtivamente sulla nave: «Sulla banchina, intorno a me, lungo un corridoio transennato, un nugolo di medici, infermieri, interpreti, tanti gazebo. In alcuni di essi vengono smistati gli infettati da scabbia, coperti con tute anticontaminazione per poi esser messi in quarantena. Era iniziata l’estenuante procedura del riconoscimento che durerà fino a sera. Approfittando del trambusto, salgo sull’imbarcazione. È una nave poco più grande di un peschereccio, un corridoio è interamente occupato dalle salme. Incontro il capitano, di nazionalità inglese, che si trattiene a parlare con me visto che sono tra i pochi a parlare la sua lingua. Mi qualifico come fotografo e lui, gentilmente, mi presenta il fotografo di bordo».

Il capitano racconta le fasi concitate del salvataggio: «La carretta del mare con a bordo oltre 750 persone si era capovolta al largo della costa di Lampedusa e i migranti stavano inabissandosi uno dopo l’altro. Alla fine si conteranno quasi 150 dispersi». Greco spiega ancora: «L’equipaggio non era numeroso, avrò contato poco più di una decina di membri, tanto che persino il cuoco ha partecipato alle operazioni. Hanno lanciato a mare i giubbotti di salvataggio ma molti naufraghi ne afferravano più d’uno, rendendo la situazione ancora più caotica».

Alla fine saranno 32 le salme recuperate, di cui 7 bambini e un feto abortito sulla nave. «Era una donna, probabilmente di origini eritree – continua Greco -. Salita a bordo con due figli, uno dei quali, di sette anni, l’ha visto morire in acqua. È stata lei stessa poi a identificarlo in una delle sacche per deporre i cadaveri. Alla vista del corpo la donna ha avuto un malore che le avrebbe provocato, più tardi, l’aborto». Il lavoro dell’equipaggio della Ong è stato davvero encomiabile nonostante le ristrettezze dei mezzi e il carico ingente di persone, stipate all’inverosimile: «Senza il loro pronto intervento – prosegue Greco – i morti sarebbero stati molti di più e i dispersi decisamente maggiori di quelli stimati. La paura e la disperazione dei migranti sopravvissuti la leggevi nei volti. Per salire su quella carretta, che si è poi ribaltata, avevano pagato fino a 5mila dollari. Alcuni cadaveri erano così gonfi d’acqua che le donne morte parevano incinte».

Terminata la fase del riconoscimento, il problema più urgente da risolvere è stato quello della sepoltura. A mezzogiorno giunge sulla banchina Domenico Graziani, arcivescovo di Crotone, per la benedizione delle salme. Ci sono altre undici donne a bordo che hanno visto morire i propri ragazzi nel corso del naufragio. Al porto arriva il sindaco di Crotone, Ugo Pugliese, che insieme al parroco del Duomo, Ezio Limina, lancerà in mare una corona di fiori in ricordo delle vittime. Il comune metterà poi a disposizione 17 loculi, gli altri saranno recuperati in altre cittadine. Greco, intanto, raccoglie la sua macchina fotografica e le foto che oggi il manifesto pubblica in esclusiva (dal 2 settembre in mostra al festival Corigliano Fotografia 2017). Le immagini contengono una cronistoria dallo sbarco, dall’identificazione delle salme fino alla smobilitazione. Sono i frame di una tragedia epocale. A cui tutti ci siamo purtroppo ormai assuefatti.