«Con Giulietto Chiesa se ne va non solo un amico della Russia e della perestrojka ma anche un mio amico personale» con questa dichiarazione rilasciata al manifesto Michail Gorbaciov, ha voluto mandare un ultimo saluto al celebre giornalista italiano scomparso improvvisamente domenica.

Giulietto Chiesa era nato a Carrega Ligure in provincia di Alessandria nel 1940. Militante del Pci dopo essere stato capogruppo al consiglio comunale, accettò con entusiasmo la proposta di diventare corrispondente de l’Unità in Urss nel 1980. Nella grigia Mosca brezneviana si liberò rapidamente dell’etichetta di «filo-sovietico» proponendo reportage spesso fuori dal coro e in grado di fornire chiavi di lettura degli equilibri all’interno della nomenklatura interessanti e spesso controcorrente. Per questo la Tass ne chiederà presto la destituzione a cui il Pci saprà rigettare.

FREQUENTA in questo periodo i circoli della dissidenza, in primo luogo i fratelli Medvedev ma anche quelli legati alla nuova sinistra di Boris Kagarlitsky riuscendo però a mantenere buoni rapporti con gli uomini del Cremlino, ma dimostra soprattutto la capacità di confrontarsi con i russi comuni, le cui ansie e aspirazioni trovano spesso spazio nei suoi articoli.

È questo il Giulietto Chiesa che chi scrive conosce nel drammatico inverno russo del 1989 quando nelle città russe si sopravvive con la tessera annonaria: in prima fila nella difesa dell’esperienza della perestrojka e della glasnost in nome delle loro ragioni e successi ma anche nelle vie di Mosca tutti i giorni a confrontarsi con la vecchina che chiede l’elemosina o nelle assemblee del movimento democratico.

È ALLORA che diventa realtà la sua popolarità tra i russi che non verrà mai meno nei decenni successivi, anche quando con l’avviamento del percorso dello scioglimento del Pci passerà a La Stampa. Una popolarità per certi versi superiore a quella italiana se ieri la Duma ha deciso di onorare la sua “figura di giornalista e di studioso” con un minuto di silenzio e la portavoce del ministro degli Esteri Sergy Lavrov, Marya Zacharova lo ha definito in un comunicato «una personalità fuori dal comune».

UNA DEFINIZIONE perfetta per un giornalista sempre capace di interagire con la realtà e la dinamicità dei fatti. Non a caso negli anni successivi scriverà anche molti libri sulla realtà russa e non solo come quelli sull’assalto neocolonialista all’Afghanistan e le guerre in Jugoslavia.

Russia Addio pubblicato per i tipi di Editori Riuniti nel 1997, inchiesta in presa diretta sulla rielezione-truffa di Boris Eltisin, alla presidenza della Federazione l’anno precedente è forse il suo migliore (salutato anche da un grande successo di vendite) in cui denuncia senza infingimenti il decennio delle privatizzazioni e della restaurazione capitalista: «Sono bastati cinque anni di Boris Eltsin, dei predatori “democratici”, per far tornare insieme nostalgia del passato e menefreghismo verso la democrazia, oblio delle mostruosità staliniane, ma anche, semplicemente, desiderio di sicurezze perdute, voglia di tirare il fiato, di capirci qualche cosa, di ottenere quella giustizia e quel benessere che erano stati loro promessi con totale leggerezza e demagogia, quasi che fossero dietro l’angolo, e poi brutalmente negati», sintetizzava con lucidità in un passaggio del libro.

MA SAREMMO ipocriti se dimenticassimo di ricordare la parabola e l’involuzione di Giulietto Chiesa degli ultimi 15 anni della sua vita. Impegnato a denunciare il ruolo degli Stati uniti e delle guerre occidentali nel mondo, declinò verso interpretazioni dei fatti con il rischio del complottismo e della unilateralità che lo condussero a strizzare l’occhio a galassie politiche a dir poco ambigue in nome di quella che chiamava «unità anti-sistema».

Una deriva a cui non riescono a credere neppure tanti russi che lo hanno apprezzato, determinata probabilmente non solo da egocentrismo ma dal declino inarrestabile della sinistra italiana e dei suoi strumenti interpretativi. E così anche la sua difesa delle politiche di Putin da riconoscimento del suo ruolo di bilancia nella politica mondiale, scivolò negli in agiografia caricaturale.

MA LUI AVEVA risorse infinite, se con un colpo di coda qualche tempo fa ebbe occasione di dire a proposito della Russia di oggi: «La democrazia in Russia non ha fatto passi avanti rispetto al momento in cui iniziò la perestrojka e questo distacco dalle masse, che il potere non fa nulla per riempire è, anche per me, fonte di grande preoccupazione».