«Noi siamo fatti di merda. Solo che poi – ogni tanto – la coscienza ci spinge a fare qualcosa di buono per gli altri. Forse è questo il vero motivo per cui ho iniziato a lavorare al progetto». Sono le parole di Andrea Kunkl, sociologo e fotografo, ideatore di Crepe, un progetto per immagini che indaga il tema del confine geografico e umano.
Crepe è un grande lavoro realizzato in collaborazione con Emergency e si compone di diversi capitoli i cui scenari sono diversi l’uno dall’altro: c’è Calais, c’è Idomeni, c’è Lampedusa. Ma c’è anche Castel Volturno – città dei migranti in provincia di Caserta – che, pur non rappresentando un territorio di confine tout court, racchiude in sé tutto il concetto di marginalità. La sezione ambientata a Castel Volturno, che è in mostra fino a domani alla Triennale di Milano per il Festival dei diritti umani, è un documentario sulle persone migranti, in cui dettagli personali e indagine scientifica creano un raccoglitore multimediale di visioni e rappresentazioni diverse. «Abbiamo consegnato trenta macchine fotografiche usa e getta e abbiamo chiesto alle persone di catturare i momenti della propria vita quotidiana. Il risultato è un album di scatti intimi di ciascuno di loro. Nemmeno se l’avessi voluto con tutto me stesso sarei riuscito a ottenere un lavoro così denso di significato. Un lavoro che non ha nulla dell’equilibro tecnico che può dare un fotografo».

Crepe, capitolo Castel Volturno, si compone di novanta fotografie – scremate tra oltre centocinquanta – realizzate dai migranti che vivono nella cittadina casertana e dai residenti del posto ed esposte insieme a disegni e video in un percorso dove le persone migranti sono protagonisti attivi e non solo oggetto di indagini antropologiche. Quando chiediamo al fotografo il motivo per cui ha scelto proprio questo luogo per continuare il suo racconto dei confini non ha esitazioni: «Castel Volturno è un posto abbandonato da Dio e dalle istituzioni. È una cittadina di più di 25mila abitanti dove non c’è un sistema di fognature regolare, dove non ci sono ospedali e se non ci fossero gli amici del poliambulatorio di Emergency le persone ammalate, o semplicemente impossibilitate a spostarsi nei centri vicini, non riceverebbero cure di alcun genere». Castel Volturno è un territorio difficile da raccontare: degrado urbano e criminalità organizzata si mescolano dando vita a un luogo in cui la disoccupazione sfiora quota 90% e lo sfruttamento dei migranti è all’ordine del giorno.

Il poliambulatorio di Emergency che ha supportato la realizzazione del progetto di Andrea è stato aperto nel 2015 e ad oggi conta più di 27mila prestazioni sanitarie offerte.
A Castel Volturno i lavoratori in nero presentano spesso gravi problemi respiratori dovuti alle condizioni abitative insalubri o gravi patologie cutanee causate dalla prolungata esposizione al sole e dalla scarsa igiene. «Nonostante le criticità, ho trovato un luogo carico di dignità e di ‘brava gente’ – continua Kunkl – dove le persone non smettono di chiedersi se per loro qualcosa ancora è possibile». Una speranza che viene fuori anche nelle foto che compongono la mostra: i migranti si raccontano dal loro punto di vista esponendo al pubblico la propria sfera intima, quasi a voler squarciare quel velo di stereotipi e pregiudizi che ormai non gli si scolla di dosso. E a proposito di squarci: «Ho scelto di chiamare il progetto Crepe non perché non creda nella costruzione dei legami tra le persone e nel rapporto di interdipendenza dei confini. Anzi. Crepe sono quelle feritoie aperte sullo schermo su cui osserviamo la realtà e servono a individuare sfumature che non abbiamo ancora considerato. Non ho la presunzione di dire che ho inventato qualcosa di nuovo. Né posso dire di avere una visione della realtà più corretta degli altri. Ho solo provato a fornire uno strumento per vedere le cose da un altro punto di vista».

Con questo progetto, Andrea Kunkl è uno dei due vincitori di #ioalzolosguardo, il contest fotografico lanciato dall’Associazione Reset – Diritti Umani e dal Festival stesso. «Non mi sento un eroe. Volevo solo dare profondità alle immagini che si vedono in televisione e a cui – purtroppo – è stata tolta qualsiasi umanità».