Quando nel 1962 un’oscura rock band liverpooliana piazza il 45 giri d’esordio, Love Me Do, nella hit parade inglese, il pubblico fa la conoscenza innanzitutto con un poker di ragazzi poco più che ventenni chiamati per nome di battesimo – John, Paul, George, Ringo – e solo in un secondo momento anche come Lennon, McCartney, Harrison, Starr (nickname di Richard Starkey). La forza dei Beatles consiste, da allora fino gli ultimi trionfi come gruppo (1968-69), nell’immagine compatta, unitaria, indissolubile che i ‘Quattro’ danno di sé: non a caso mai espressione diventa più azzeccata di quella italiana usata per il titolo del loro primo film Tutti per uno. E con l’Alexandre Dumas dei Tre Moschettieri (che in realtà sono quatto) si può aggiungere ‘uno per tutti, tutti per uno’, quasi a sottolineare la funzione simbolica esercitata reciprocamente: insomma paiono un ensemble autosufficiente, dove nessun ‘esterno’ sia necessario al loro successo, alla loro musica, al loro feeling. A questo contribuisce sicuramente l’immaginario visivo dell’epoca: i Beatles, come tutte le formazioni (o ‘complessini’) si presentato vestiti, pettinati, agghindati allo stesso modo: il look sarà imitatissimo tra il 1963 e il 1966 nel passaggio dal r’n’r al beat, come pure attorno al 1967-1968 con l’era psichedelica. Dal vivo, ai concerti, i Beatles non hanno coriste, sezioni fiati o musicisti aggiunti; sono loro quattro e basta; nei dischi però la situazione è un po’ diversa e proprio dagli studios di registrazione e in genere dal backstage e da tutto ciò che insomma concorre all’exploit duraturo di una rock band, occorre partire nel vedere se davvero esista un Quinto Beatle, un personaggio che, più degli altri, partecipi alla grandezza di un quartetto che fin da subito entra nella Storia contemporanea.

Ci sono artisti, manager, impresari, tecnici, che di volta in volta sin dal 1960 vengono indicati come il ‘quinto uomo’, insomma lo Scarafaggio in più che se ne sta al riparo, a far quasi da regista o deus ex machina. E quasi per paradosso, sia agli inizi sia nel declino dei Beatles, si trovano uomini e donne che entrano a far parte dell’entourage, modificadone pesantemente i connotati musicali: i Quarrymen, Pete Best, Tony Sheridan, Yolo Ono, Linda Eastman, sono i nomi di chi, nel bene o nel male, contribuisce al solido assestamento e poi al triste epilogo dei Fab Four medesimi. I Quarrymen sono il gruppo in cui suona Lennon, da cui prende il via l’intera vicenda; Best è il primo batterista che viene sostituito dai discografici, alle soglie dell’exploit, con una mossa ancor oggi avvolta nel mistero assoluto; Sheridan è un cantante grazie al quale i Beatles (come Beat Boys) incidono i loro primi singoli, come semplici accompagnatori; Ono è la donna che porta via il marito a Cynthia Lennon, spingendolo – lei artista Fluxus oltranzista – verso un impegno politico e un’avanguardia radicale che ideologicamente lo allontaneranno dalla cultura beatlesiana, sino a lavorare esclusivamente con la nuova moglie giapponese; la Eastman infine è una fotografa newyorchese che, ricambiata, s’innamorerà di Paul (eterno scapolo) conducendolo non solo all’altare, ma a prendere le distanze da John e Yoko (tre le due odio infinito) fino ad abbandonare ufficialmente i Beatles e a formare i Wings dove Linda suonerà la tastiera per un intero decennio.

Nessuno però di questi cinque ‘casi’ può effettivamente aspirare al titolo di quinto Beatle. Chi allora? Per rispondere bisogna anzitutto considerare che, in quanto gruppo omogeneo, i quattro Beatles ‘classici’ – Lennon, McCartney, Harrison, Starr – tra il 1963 e il 1970 fanno insieme molto di più di qualsiasi band venuta prima o dopo. per cambiare lo scenario della musica, dell’arte, la cultura popolare e addirittura della società e della politica a livello planetario. Benché noti come “Fab Four”, John, Paul, George, Ringo non raggiungono lo status di icone pop mondiali basandosi esclusivamente sul proprio talento. Come per ogni impresa di successo, i Beatles contano su tantissimi aiuti, provenienti innanzitutto da dietro le quinte, grazie a persone che degli ‘scarafaggi’ condivideranno tutto (o quasi), salvo i riflettori della fama e dalla gloria più o meno imperiture. Da sempre, in tal senso, circolano voci ufficiose, rimbalzate ovunque, da Londra a Liverpool, fino al mondo intero, su un ipotetico Quinto Beatle che, di nascosto, guida gli altri quattro: non ce n’è una ma ben dieci sarebbero le persone che contribuiscono, lungo i ‘favolosi’ anni Sessanta, a plasmare un capolavoro artistico-musicale che da allora a oggi non smette di produrre ‘ricchezza’, tra inediti, ristampe, merchandising e altro ancora (indotti compresi).

Dieci nomi per un quinto posto

10. Astrid Kirchherr

Prima di Cynthia Powell, Jane Asher, Patti Boyd o Maureen Tigrett iscritte via via nel pubblico/privato dei quattro Beatles (come mogli, amanti, fidanzate, consiliere), l’unica donna che ha una grossa influenza sugli allora cinque giovanissimi liverpooliani resta una bella bionda tedeschina, studentessa, esistenzialista e fotografa di nome Astrid Kirchherr. La ragazza, peraltro jazzofila, viene convinta ad ascoltare i Beatles in una cave di Amburgo dal fidanzato Klaus Voormann, disegnatore e bassista. Le successive foto in bianco e nero di Astrid ai Silver Beatles attirano recensioni entusiastiche, diventando la prima persona a ritrarre quella che, nel giro di un paio d’anni, diverrà la band più famosa al mondo. Le attenzioni della Kirchherr, sono però, subito rivolte a un altro bassista, il meditabondo Stu Sutcliffe, anch’egli pittore e Quinto Beatle effettivo (assieme a Pete Best non ancora scavalcato da Ringo). La ragazza interrompe il rapporto con Voormann e comincia a flirtare con Stu. Sulla pelle di quest’ultimo, inventa l’aspetto forse più iconicamente pregnante dei Beatles: il taglio di capelli con il frangione o alla paggetto (detto anche Moptop), di gran moda nelle Belle Arti tedesche. Convince dunque Sutcliffe ad adottare questo look mentre gli altri Beatles che prima lo deridono, ben presto ne seguono l’esempio. Il resto è storia.

9. Stuart Sutcliffe

Prima della morte scomparsa a soli ventun anni per una emorragia cerebrale, è il bassista ufficiale della band, mentre McCartney suona la chitarra ritmica. Amico di Lennon già dal Liverpool College Of Art, dove entrambi s’appassionano all’astrattismo e alle avanguardie in genere, Sutcliffe è di certo più interessato alla pittura che alla musica; di fatto si unisce unito alla band solo per una questione di amicizia e lealtà verso John. Quando Stu riesce a vendere un suo quadro per 65 sterline, Paul lo convince a usare i soldi per comprare una chitarra basso Hofner, che più tardi diventerà lo strumento-simbolo di McCartney stesso. Da quel poco che si evince da dischi pirata o nastri fortuiti, Sutcliffe non è un musicista provetto, ma conquista il cuore delle ragazzine grazie alla bellezza e con l’interpretazione di Love Me Tender di Elvis Presley. Oltre a essere il primo Beatle a portare i capelli come un Beatle dovrebbe, Stu Sutcliffe passa alla storia per la scelta definitiva di “The Beatles” come nome della band, non senza essersi prima consultato con il fraterno Lennon.

8. Bruno Koschmider

Koschmider lavora con diversi club tedeschi, in particolare al teatro Bambi Kino, nel pittoresco quartiere di Reeperbahn di Amburgo. Per intrattenere le masse, impiega diverse band di Liverpool, tra cui i giovani Beatles, che suonano dal pomeriggio all’alba per una clientela di portuali, ladruncoli, truffatori, magnaccia e prostitute. Le bande riescono dunque a esibirsi, con brevi pause, anche per dieci ore consecutive, per intere settimane grazie alla dotazione di “pillole dimagranti”, rigorosamente Made inDeutschland, offerte da Koschmider. Le condizioni difficili e un pubblico ostico, spesso litigioso e ubriaco, aiutano i futuri Fab Four a modellare le loro performance dal vivo ricorrendo a un’altissima energia che farà guadagnare a loro consenso e popolarità in tutto il mondo a partire dai concerti inglesi per trionfare poi nei tour mondiali. In tal senso l’immagine o l’idea di Bruno come Quinto Beatle non è certo quella di uno stinco di santo.

7. Murray the K

Murray Kaufman è un disc jokey di New York, professionalmente noto come Murray “The K”, che viene universalmente indicato come la persona che apre ai Beatles l’immenso mercato americano. Mentre alcuni storici stanno ancora disputando sul fatto che sia Kaufman o un altro il primo DJ statunitense a far sentire per radio un disco dei Beatles, Murray resta di fatto il maestro auto-promotore che si assume il ruolo non ufficiale di collegamento tra la band e la stampa americana. I Beatles, tra l’altro, senteno parlare di Kaufman, qualche anno prima, collegato a un gruppo femminile afroamericano che gira l’Inghilterra sotto il nome di Murray’s Dancing Girls: in seguito sarà noto come Ronettes. Kaufman diventa così legato ai Fab Four che, durante le loro prime apparizioni a stelle-e-strisce, nel corso di una conferenza stampa, Ringo presumibilmente si riferisce a lui quando parla di un “Quinto Beatle”.

6. Klaus Voormann

Nel 1960, a 22 anni, il grafico pubblicitario Klaus Voormann visita il club Kaiserkeller di Amburgo. Fin da bambino studia il pianoforte classico, e in gioventù non ascolta una sola nota di rock and roll fino a quando vede per la prima volta i Beatles all’opera. A differenza di Sutcliffe, che ha poco interesse a imparare bene la musica (e forse non ha nemmeno il giusto talento per farlo), Voormann accoglie con entusiasmo l’idea di suonare il basso elettrico grazie all’amicizia con i liverpooliani. Da lì in poi si trasferisce in Inghilterra continuando come musicista con rock band del calibro di Manfred Mann e The Trio, benché il contributo più duraturo, a livello di immaginario musicale, resta per Klaus quello della pittura e dei collage per alcune immagini tre le più colte, popolari e rappresentative nella storia del rock. Voorman disegna infatti la copertina in bianco e nero per l’album beatlesiano di svolta Revolver (1966) e progetta l’intero design per la serie postuma delle Anthology. Nonostante la perdita della fidanzata Astrid Kirchherr (che amoreggia con il Beatle Stu), in Klaus non diminuisce l’entusiasmo per l’intero gruppo, che anzi aumenta negli anni, al punto che, quando, nel 1969, Paul decide di andarsene, John, George e Ringo, in un primo momento, pensano a lui come sostituto bassista.

5. Neil Aspinall

Se da un lato George Martin merita tutto il rispetto per il lavoro di affinamento sul suono dei Beatles in studio, poi dall’altro lato è Neil Aspinall il collante che tiene insieme i Quattro in tour e davanti al front office. Durante i giorni di rodaggio nei club di Liverpool, da concerto a concerto, Aspinall stipa i quattro in un furgone scassato, sul quale caricano anche gli strumenti. Neil suona pure la tambura (percussione Indiana) in Within You Without You e l’armonica a bocca per Being For The Benefit Of Mr. Kite, entrambi in Sgt. Pepper. Quando Brian Epstein muore in circostanze misteriose, Aspinall assume la gestione di Apple, l’azienda dei Beatles da poco fondata per gestire le loro questioni contrattuali. E dopo lo scioglimento della band organizza molti dei progetti che potrebbero contribuire simbolicamente (ma con un occhio, anzi due al portafoglio) a continuare l’eredità beatlesiana ad esempio con l’operazione Anthology su doppi CD e in DVD o con la serie inedita Live At The BBC tuttora in corso.

4. Derek Taylor

Il trentenne baffuto giornalista abbandona una promettente carriera nella critica musicale per assumere l’incarico di addetto stampa dei Beatles. In primo luogo incontra la band quando si trova a recensire un loro spettacolo al Manchester Odeon nel maggio 1963, con il datore di lavoro (il quotidiano Manchester Daily Express), il cui direttore vorrebbe un pezzo che rifletta genuini sentimenti borghesi, ovvero ‘anti-rock’. Invece, Derek offre una recensione in cui descrive il gruppo come “fresco”, “sfacciato” e “magnifico”. Quando poi l’editrice Souvenir Press gli chiede di fare il ghostwriter al libro autobiografico A Cellarful Of Noise di Brian Epstein, quest’ultimo lo invita al primo tour della band negli Stati uniti per aiutare a gestire le richieste dei mass media. Taylor continuerà a essere addetto stampa dei Beatles fino al loro scioglimento, sarà uno dei fondatori del Monterey Pop Festival, il primo megaevento giovanile nella storia (1967), ma senza Beatles, perché da un anno (e per sempre) lontani dal mondo dei concerti. Morirà di cancro nel 1997.

3. Mal Evans

Detto ‘lo scaricatore’ o più ancora ‘Big Mal’, con i suoi due metri di altezza, verrà forse ricordato per essere letteralmente il “candidato più grande” per il ruolo di Quinto Beatle. Evans inizia come portiere e buttafuori al Cavern Club prima di diventare un road manager, nonché la guardia del corpo dell’intera band. Però Mal è anche qualcosa in più, giacché occupa per i Beatles differenti ruoli in un crescendo che va dalla creazione allo smontaggio di un palcoscenico, fino alla distribuzione di autografi alle centinaia di ragazzine in delirio. Come e più di Aspinall, cantante e strumentista in varie canzoni. Evans risulta altresì tra i pochissimi della cerchia ristretta, al di fuori degli stessi ‘Scarafaggi’, ad apparire in tutti i film beatlesiani: il cameo più noto riguarda il nuotatore perso nella Manica durante uno scherzo in una sequenza di Help! diretto da Richard Lester. Evans muore nel 1976 a Los Angeles, per un tragico errore, quando due poliziotti (chiamati dalla fidanzata) irrompono nella sua camera d’albergo e gli sparano sei colpi al cuore, senza capire che il fucile in suo possesso è scarico.

2. Brian Epstein

Da giovanissimo un aspirante attore, quindi venditore di dischi a part-time a Liverpool, Brian Epstein incontra i Beatles per la prima volta durante una pausa pranzo nel negozio di elettrodomestici dei suoi genitori. Epstein ne riconosce il potenziale artistico, mercantile, comunicativo fin da quel primo incontro, ma sa che deve lavorare sodo anzitutto per cambiare l’immagine dei Quattro. È infatti merito suo il look che passa dall’ormai consunta moda rock and roll (jeans attillati, t-shirt bianca, giaccone nero da “teddy boys”) a favore di un formalismo molto british e un po’ sbarazzino, tra camicie linde, cravattine nere, abiti su misura e stivaletti in pelle con il tacco (insomma il trend dei giovani professionisti alla moda). Brian perfeziona altresì lo stare in pubblico vietando ai Beatles di fumare, bere, dire volgarità sul palco, insistendo su moderne coreografie e azioni sincronizzate come ‘marchio di fabbrica’. Muore in casa a soli 33 anni forse per overdose, forse suicidandosi, incapace comunque a gestire la propria omosessualità in un’epoca ancora troppo bacchettona per accettarla alla luce del sole.

1. George Martin

Nel novembre 1962, durante le sessioni di registrazione per il singolo Please Please Me, il produttore George Martin, allora trentaseienne, dichiara compassato alla band: “Signori, avete appena fatto il vostro primo disco da Numero Uno (nella hit parade)”. Martin è alla ‘cabina di regia’ per quel numero uno e per i 26 successivi in soli sette anni. L’altro George è qualcosa in più di un produttore: per i Beatles è via via arrangiatore, consigliere, orchestratore, direttore artistico e occasionalmente pianista. Il suo compito in particolare consiste nel tradurre le visioni musicali di Lennon e McCartney (che all’epoca non sanno leggere le note, mentre egli vorrebbe diventare un compositore alla Rachmaninov) nei suoni che catturano l’attenzione di generazioni, fino a pervenire al tocco magico genialissimo, come per esempio l’aggiunta del quartetto d’archi in Eleanor Rigby o il superbo crescendo sinfonico alla fine di A Day In The Life.