Daniel Ortega ha voluto assumere provocatoriamente a modo suo il quarto mandato presidenziale consecutivo in Nicaragua, dopo la farsa elettorale del 7 novembre scorso che ha visto le urne andare deserte per l’assenza, fra l’altro, dei sette contendenti incarcerati nei mesi precedenti. E lo ha fatto equiparando paradossalmente l’assalto al Campidoglio negli Usa con la rivolta popolare del 2018 che vide la mattanza di almeno 355 nicaraguensi, oltre a 2mila feriti e, ad oggi, 150mila espatriati.

FIN DA ALLORA il “fu” comandante guerrigliero si era inventato il tentato golpe ordito dagli Usa verso un paese che il Dipartimento di Stato in realtà ignorava ormai da un pezzo. E oggi si è abilmente riferito ai «due pesi e due misure» che sarebbero adottati fra gli «atti di terrorismo» considerati tali per gli eventi di Washington (con relativi «700 detenuti politici trattati duramente in attesa di libertà») e «il terrorismo organizzato dagli yanquis» in Nicaragua fatto passare come «lotta per la democrazia e i diritti umani».

Silenzio di Ortega sui 170 prigionieri di coscienza in attesa di processo e rinchiusi in condizioni disumane nelle sue prigioni. La loro liberazione potrebbe essere presto oggetto di scambio con le crescenti imposizioni della comunità internazionale. Fra essi la comandante sandinista Dora Maria Tellez (e altre 14 donne), l’ex generale dell’esercito sandinista Hugo Torres e l’ex prete ministro (durante la rivoluzione) l’ottantenne Edgar Parrales; o il giovane leader degli universitari insorti, Lesther Alemán; così come esponenti della destra a cominciare dalla figlia della ex presidente Violeta de Chamorro, Cristiana (agli arresti domiciliari), che si sarebbe candidata alla presidenza.

SEMBRA QUASI CHE DANIEL ORTEGA e Rosario Murillo (sua vice nonché consorte) soffrano di una qualche nostalgia di Donald Trump che, si sa, aveva un debole per le autocrazie; e che di fronte alle rassicurazioni della coppia presidenziale che quegli imprevedibili ribelli “nipoti” di Sandino li avrebbero controllati loro, si era limitato a decretare timide sanzioni ad personam. Mentre Joe Biden, insieme all’Unione europea, si è messo invece a fare sul serio.

Sta di fatto che l’opportunista Ortega, che in un delirio di potere si era alleato con l’oligarchia locale per sommarsi ad essa nelle ricchezze (abbandonando di fatto la propria base sociale povera) è tornato ora a mettere il piede nella sola scarpa dell’antimperialismo originario. Tanto che al suo reinsediamento c’erano i presidenti dei due paesi dell’Alleanza Bolivariana sui quali l’imperio incombe da sempre davvero con embarghi soffocanti: il venezuelano Nicolás Maduro e, per la prima volta, il presidente cubano Miguel Díaz Canel (dopo la lontana visita di Fidel Castro al primo anniversario della Rivoluzione Sandinista nel 1980).
Ma a Managua si è presentato anche il presidente uscente dell’Honduras, il reazionario Juan Orlando Hernandez, che forse pensa già a fine mese di riparare in Nicaragua visto che è indagato negli States per narcotraffico; e che con Ortega si è spartito finora disinvoltamente i fondi del Banco Centroamericano de Integración Economica.

DALL’AMERICA LATINA sono poi giunte delegazioni minori da Bolivia e Belize; mentre Messico e Argentina erano rappresentati solo da diplomatici. Un po’ poco, a testimonianza dell’isolamento che incombe sul regime orteguista. Confermato dalla risoluzione dell’Organizzazione degli stati americani che ha dichiarato illegittime le ultime elezioni (con 25 voti a favore, 7 astenuti e il solo voto contrario del Nicaragua).

In compenso Ortega, dopo 15 anni al governo, ha licenziato la generosissima Taiwan espropriandone la sede diplomatica a Managua per consegnarla a Pechino (con cui ha firmato ieri l’accordo sulla Nuova via della Seta). I decisivi rapporti con la Cina e la Russia, presenti con proprie delegazioni alla cerimonia di reinvestitura, sono curati direttamente da due dei figli degli Ortega, rispettivamente Laureano e Rafael; a confermare il decollo di una dinastia che scommette sul rapido cambiamento dei rapporti di forza planetari.

Anche nel subcontinente latinoamericano, dove gli Usa stanno perdendo una fetta significativa della propria egemonia.

Errata Corrige

«La rivolta del 2018 in Nicaragua fu come l’assalto di Capitol Hill, due pesi e due misure». Silenzio, nel discorso di insediamento, sui 170 prigionieri politici in attesa di processo. Intanto da ieri Managua, scaricata Taiwan, è ufficialmente entrata nella Nuova via della seta