La Spagna si è svegliata con un panorama politico più confuso che sei mesi fa. E soprattutto più spaventoso, con i fascisti di Vox terzo partito dopo Psoe e Pp.

Le nuove elezioni spagnole, scattate per l’incapacità di costruire alleanze parlamentari del partito socialista, lasciano il parlamento più multipartitico e frammentato della storia e descrivono un vero e proprio rompicapo la formazione di qualsiasi governo.

L’affluenza alle urne è stata più bassa che ad aprile, ma molto meno del previsto, situandosi temporaneamente intorno al 70%, sei punti meno che ad aprile. Questo però senza contare i voti dei residenti all’estero, che ad aprile fecero scendere il dato finale al 72%, e anche stavolta il conto finale farà scendere un po’ la percentuale definitiva.

Due i dati più significativi: oltre all’ascesa in seggi strepitosa di Vox, il crollo di Ciudadanos, che scompare dalla mappa politica spagnola.

Ma andiamo per ordine.

Il primo partito è ancora una volta il Partito socialista, che però passa da 123 seggi a 120, e dal 29 al 28%.

Il Pp guadagna seggi, passando da 66 a 88 seggi (dal 17 al 21%).

I fascisti sbancano con 52 seggi – e ne avevano solo 24 ad aprile. In percentuale passano solo dal 10 al 15%, ma è un effetto del sistema elettorale spagnolo, disegnato per un panorama politico molto più semplice e che elegge più di un terzo dei 350 deputati in circoscrizioni molto piccole, dove contano soprattutto i primi tre partiti, e per gli altri diventa molto più complicato che i voti si trasformino in seggi.

Al quarto posto si mantiene Unidas Podemos coi suoi alleati, ma perde, per la terza volta consecutiva, seggi: si ferma a 35 (ne aveva 42 ad aprile), passando dal 14 al 13%.

Al quinto posto, guadagnando una posizione, troviamo Esquerra republicana de Catalunya, il cui leader Oriol Junqueras è in carcere: Erc è ancora primo partito in Catalogna, e ottiene 13 seggi (ad aprile ne aveva 15, un record).

Solo in quinta posizione Ciudadanos, ormai un partito irrilevante a livello nazionale: passa da ben 57 seggi a 10 (dal 16% a meno del 7), un crollo in piena regola.

Con 8 seggi (erano 7) poi c’è Junts per Cat, il partito indipendentista che esprime il presidente del governo catalano Quim Torra e l’ex presidente Carles Puigdemont.

Seguono a ruota i nazionalisti baschi (7 seggi, anche loro ne guadagnano uno) del Pnv, gli eredi politici dell’Eta di Eh Bildu (5 seggi, anche loro +1) e poi l’altro partito su cui erano puntati i riflettori: Más País, dell’ex numero due di Podemos, Íñigo Errejón. Entrano con tre seggi (ma uno era già in parlamento con Compromís, un partito valenziano ex alleato di Podemos).

L’altra new entry è la Cup, il movimento assemblearista catalano indipendentista. Per la prima volta si candidano per il Congresso ed entrano con 2 deputati.

Altri deputati sono quello del Bng (nazionalisti galiziani di sinistra), che ritorna in parlamento con un seggio, e una serie di piccoli partiti locali.

Nel complesso un panorama assai più confuso, e per Pedro Sánchez sarà complicato mettere d’accordo così tanti partiti.

Nel caso volesse riprendere il progetto di un governo di sinistra, come ha promesso ieri notte, sarà inevitabile coinvolgere i partiti nazionalisti catalani e baschi, che oggi come oggi sono visti come fumo negli occhi sia da lui che soprattutto dalla ringalluzzita destra.

Assai più semplice per il Psoe sarebbe cercare di costruire un accordo con il Partido Popular: una grosse Koalition alla spagnola, che però sarebbe la tomba di qualsiasi speranza di costruire un governo progressista in grado di proporre soluzioni innovatrici per la sfida territoriale e il conflitto catalano.